Martin Heidegger (1889-1976) è stato uno dei più importanti filosofi del secolo scorso e, forse, di tutti i tempi. Come molti dei suoi colleghi dei secoli passati, il filosofo tedesco concentra il suo impegno anche nella ricerca della verità, un'idea di verità però forse leggermente differente dalla concezione comune che ne abbiamo: a differenza della verità come "Veritas" (lingua latina), forte, definita, posta, egli la intende come "Aletheia" (cultura greca). Qual è la differenza? La differenza sta nel significato letterale della parola greca: a-letheia, privo di veli, non coperto, svelato.

Heidegger crede che la verità attenda impaziente di essere liberata dai veli, le coltri e i filtri che su di essa poniamo, che essa non possa essere ammaestrata o decisa, ma che necessiti invece di essere cercata e scoperta. Per fare questo Heidegger pone in luce un concetto estremamente importante della sua filosofia: la nozione di "abbandono". A parer del pensatore la verità di un ente, dell'Essere, di una persona, per essere scoperta e svelata, richiede un abbandono totale da parte nostra nei suoi confronti. Invece di coprire ciò che ci circonda con categorie, giudizi, piegamenti, desideri che provengono dalla nostra soggettività, Heidegger ci invita ad annullare questo nostro violento colonialismo per permettere all'altro di svelarsi.

Specialmente nell'amore: amare significa amare realmente l'altro per ciò che è, non per ciò noi vogliamo che sia, non per ciò noi vogliamo ci dia, ma per ciò che è, nella sua verità.

"Amo: volo ut sis", "voglio che tu sia", professava Agostino d'Ippona. Permettere all'altro di svelarsi. Come? Amandolo, ovvero abbandonandosi a lui.

Al contrario di ciò che si potrebbe pensare, l'abbandonarsi non è un processo passivo, ma fortemente attivo, che richiede una presa di posizione, un impegno profondo: ad esempio, la "verità" di un giardino è quello di essere curato, per questo lo lavoriamo. La verità delle mani è quella di essere usate in società, per questo ce le laviamo.

La verità di una persona è essere se stessa, per questo amarla significa scoprirla ed aiutarla ad essere tale, oppure sacrificare coscientemente i nostri desideri per amore.

Heidegger e Arendt

Questa concezione dell'amore però non si ferma alla sola dottrina: essa infatti pervade anche la vita stessa del pensatore. Nell'autunno del 1924, all'età di 35 anni, sposato e con due figli, Heidegger conosce Hannah Arendt a Marburg, dove lui insegna e lei, diciannovenne, è sua allieva. I due sanno che il loro è un amore senza futuro ma si lasciano travolgere dai sentimenti e dalla passione. La loro storia sentimentale è un intreccio di felicità e tragedia, di impegno e delusione. "La più emozionante, concentrata, movimentata storia d’amore", così definiva Heidegger il rapporto con la giovane Arendt.

In seguito i due si separeranno, anche e soprattutto a causa dell'adesione di lui al Nazionalsocialismo, ma, nonostante ciò, continueranno ad amarsi "da lontano" per tutta la vita.

Dal carteggio tra i due traspare chiaramente questo disinteressato e potente amore: "Come sei tutt’intera, e come rimarrai, così io ti amo", scriveva Heidegger alla sua studentessa. Egli rifiuta completamente il tentativo di possedere la sua amata: "Non riuscirò mai a chiamarti “mia” ma da adesso tu appartieni alla mia vita e crescerò con te". Scrive ancora il filosofo: "La presenza dell’altro improvvisamente irrompe nella nostra vita, nessuna anima può giungere a patti con questo. Un destino umano si dona a un altro destino umano, e il compito del puro amore è di mantenere questo dare così vivo come lo era nel primo giorno".

Un dare perpetuo, un darsi, un abbandonarsi, un mettersi in secondo piano per l'altro. Basta una frase per comprendere quanto il filosofo amasse Arendt nella sua verità, tanto da spronarla a non cambiare, a non scendere a compromessi: "E la mia devozione nei suoi confronti deve soltanto aiutarla a rimanere fedele a se stessa". I due amanti altro non desideravano che la gioia dell'altro, la completezza dell'altro, e insieme rinunciarono a loro stessi per ritrovarsi, per riunirsi, per rinascere più felici e pieni. Annullandosi, annullando la propria personalissima (e per questo falsa ed irrealizzabile) idea dell'altro in favore della realtà, si scoprirono vivi come mai prima.

"Gioisca!” questo è divenuto il mio saluto per lei. E soltanto se lei gioisce potrà diventare la donna capace di donare gioia, e intorno alla quale tutto è gioia, sicurezza, rilassamento, ammirazione e gratitudine verso la vita".

-Pol