Mani sudate, battito accelerato, fiato corto. Il corpo viene preparato minuziosamente dal cervello ad una situazione di pericolo. In un attimo si è catapultati al centro dell’azione: combatti o fuggi. paura, questo il nome dell’emozione più potente che un essere umano possa provare. Rifuggirla o ricercarla? Analizziamone gli aspetti più importanti tra psicologia e filosofia.

Da sempre argomento estremamente importante per l'uomo, la paura rappresenta uno dei baluardi della sopravvivenza biologica, l'orribile scudo dietro cui nascondersi da ogni sorta di pericolo.

Essa è descritta dal Galimberti - nel suo dizionario di psicologia - come: “Emozione primaria di difesa, provocata da una situazione di pericolo che può essere reale, anticipata dalla previsione, evocata dal ricordo o prodotta dalla fantasia”. Come emozione ‘difensiva’ la paura innesca nel corpo umano alcuni cambiamenti che lo rendono particolarmente adatto ad affrontare situazioni di forte stress: il rilascio di adrenalina rende i muscoli pronti e acuisce i sensi, mentre le funzioni di applicazione intellettiva diminuiscono. In questo modo, gli organismi entrano in uno stato denominato ‘fight or fly’, in cui le possibilità di azione si limitano appunto all'attacco, atto alla neutralizzazione della fonte di pericolo, o alla fuga, ossia l'allontanamento da quest'ultima.

Tuttavia questa descrizione risulterebbe quantomeno riduttiva per esprimere l’immenso panorama di sensazioni collegate alla paura o derivanti da essa. Differenti stati emotivi, come l'angoscia, non si manifestano con un oggetto specifico – la paura come sopra descritta è sempre da intendersi come “paura di” – ma rappresentano veri e propri stadi in cui l'essere umano – a quanto pare esclusivamente – può trovarsi.

In questo caso, tra i nomi di coloro che hanno trattato questa sensazione, possiamo ritrovare il danese Søren Kierkegaard, filosofo di spessore non indifferente e ritenuto per certi versi padre di una corrente di pensiero che prenderà il nome di Esistenzialismo.

La Filosofia

Per Kierkegaard, l'angoscia rappresenta il ‘sentimento della possibilità’, quello stato esistenziale primario in cui l'uomo si trova immerso non appena riesce a rendersi conto del mare sconfinato di possibilità negative in cui naviga ogni possibilità positiva da egli ricercata.

Un vero e proprio 'eccesso di libero arbitrio', in quanto è da questo concetto primario preso come assoluto che si diramano i pensieri del filosofo. La libertà d'azione concessa all'uomo – dalla divinità, dal proprio intelletto o da qualunque altra cosa – apre uno spiraglio sull'enorme vastità del possibile che schiaccia l’interiorità di ciascuno di noi. Solo il salto irrazionale nella fede può, per Kierkegaard, salvare l'uomo dalla ‘malattia mortale’, la disperazione: non mortale poiché conduce alla morte, ma perché capace di far sperimentare all'uomo la propria incapacità di vivere.

Distinta dunque dall'angoscia, che caratterizza l'esistenza dell'uomo libero, la paura rappresenta la negatività in molte correnti di pensiero.

Già il greco Epicuro proponeva un ideale filosofico volto a sconfiggere le paure dell'uomo, conseguendo così un tipo di vita più elevato rispetto allo status normale in cui si ritrova costantemente immerso l'animo umano. Le paure della morte e degli dei, venivano superate dagli epicurei tramite la ricerca dell'aponia: l'assenza totale del dolore. In questa prospettiva, il sapere portava alla liberazione dal dolore, mentre l'ignoranza rappresentava il peggiore dei mali. Tuttavia questa visione negativa della paura, identificata dagli epicurei come vicinanza al dolore possibile, viene smentita dalla ricerca continua di quest'ultima praticata ad esempio dagli amanti di sport estremi (alcune volte con esiti nefasti), costantemente a contatto con il pericolo.

Ricerca del pericolo e dell'adrenalina, che non si identifica tuttavia con la “pulsione di morte” freudiana, in quanto non ricerca del pericolo fine a se stessa, ma di esperienze vissute in situazioni di sicurezza.

Sarebbe infatti la sicurezza o l'apparenza di quest'ultima a generare il bisogno di paura, la quale rilascia le stesse sostanze chimiche, e causa le stesse risposte fisiologiche dell'eccitazione. La somiglianza, dunque, tra le due emozioni, potrebbe risolvere la questione riguardo la nostra costante ricerca del brivido. Da questo punto di vista, non sarebbe la paura in sé ad essere ricercata, quanto gli effetti che essa ha sul nostro organismo. Effetti che, in una situazione sicura, ove il pericolo si troverebbe solamente simulato, possono risultare estremamente piacevoli.