I figli, specialmente se piccoli, sono una delle categorie più a rischio. Non essendo in grado di difendersi in prima persona né tantomeno di decidere per la propria vita, essi vanno tutelati ed è per questo che, in questi giorni, sta facendo molto scalpore la vicenda che coinvolge una coppia di Monferrato. Ai due, rispettivamente 57 e 69 anni, divenuti genitori dopo essersi rivolti ad un centro estero specializzato per ricorrere alla pratica dell’utero in affitto, nel 2010 era stata sottratta la figlia poiché giudicati “troppo anziani e sbadati” per potersene occupare.

Complice di questa decisione una denuncia per abbandono di minore (denuncia poi rivelatasi del tutto infondata). La bambina venne poi affidata ad un’altra famiglia, permettendo tuttavia alla prima coppia di continuare ad avere contatti con lei. Nel 2013 questa concessione venne definitivamente cessata. Chi ha deciso al posto della bambina e, soprattutto, perché?

La tutela dei minori: l’intervento della psicologia

La tutela di chi, come in questo caso, non ha potuto esprimere il proprio parere, spetta di fatto al tribunale. La tendenza è quella di prendere decisioni che arrechino il minor danno possibile Ai più deboli, proprio perché queste stesse decisioni dovrebbero essere una tutela verso chi non è in grado di decidere per se stesso.

La psicologia influenza proprio queste decisioni. Attraverso lo studio delle dinamiche di crescita dei bambini, essa riesce, cercando di essere il più rigorosa possibile, a suggerire l’opzione migliore, non solo per ciò che concerne il presente ma anche (e soprattutto) in ottica futura. Un “disclaimer”, tuttavia, è d’obbligo: la psicologia non ha una risposta universalmente corretta, proprio in virtù della soggettività dei vari casi.

Ognuno di essi viene trattato in modo diverso e specifico, errori di giudizio sono quindi sempre possibili, specialmente se pensiamo che c’è la costante incognita della comparsa di nuovi elementi, esattamente come nel caso della denuncia rivelatasi infondata nella situazione precedente.

La crescita degli infanti e il ruolo dei genitori

La crescita dei bambini, ambito in cui la Psicologia odierna ha solide radici, ha sempre rappresentato il primo passo da compiere verso una conoscenza più approfondita dei propri figli. Una bambina di 40 giorni, se viene tolta alla sua famiglia ed affidata ad un’altra, non è di certo in grado di riconoscere le figure di “madre” e “padre”, l’affezionarsi infatti arriverà più tardi, per ora l’infante ha semplicemente bisogno di essere nutrito ed accudito e non ha modo, in ogni caso, di legarsi profondamente. Questa sua incapacità sottolinea come, la stessa bambina, non soffrirà molto della diversa collocazione (ben consapevoli del fatto che, tra madre e figlia, intercorra un legame ben più profondo del semplice “breastfeeding”).

Perché cessare i contatti a 3 anni? A quell’età la piccola ha già instaurato un rapporto profondo con la madre (in questo caso non è né quella biologica né la prima affidataria). Cessare le visite è significato in questo caso, ridurre la possibilità di un futuro shock (con conseguenze come, per esempio, crisi d’identità) dovuto alla vera e propria “confusione” genitoriale. Gli affetti sono ben più profondi di un semplice “mamma” e “papà”, per questo i danni che potrebbero derivare dalla loro compromissione sono, potenzialmente, devastanti per una piccola bimba.