C’è una guerra che si combatte senza armi (per fortuna) e che riguarda i grandi produttori di petrolio. Da una parte i produttori arabi, quelli che l’opinione pubblica conosce come OPEC, dall'altra gli Stati Uniti d’America e tutti gli altri produttori al di fuori del mondo saudita. La guerra del petrolio porta inevitabilmente il prezzo dello stesso a salire e scendere, ma il costo del carburante per noi italiani è sempre elevato.

Gli USA hanno anche loro il petrolio?

Gli Stati Uniti d’America sono sempre stati tra i più grandi importatori di petrolio fino a quando hanno trovato la loro “pietra filosofale”.

Infatti, hanno scoperto che spaccando le rocce, al loro interno c’è un residuo organico da cui ricavare petrolio. Si tratta del “fracking”, pratica oggi diffusa negli USA, che ne è riuscita a contenere il costo, fino a poco tempo fa troppo elevato rispetto al normale pozzo petrolifero. Gli USA, in questo modo, da importatori sono diventati venditori di petrolio, fanno concorrenza all’OPEC e hanno saturato il mercato di petrolio.

Cosa c'entra tutto questo con il prezzo?

Le regole del mercato globale dicono che se di petrolio (ma riguarda qualsiasi altro bene vendibile) ne circola una quantità superiore alla domanda, per non far abbassare troppo i prezzi, si smette momentaneamente di produrne. L’OPEC, invece di bloccare la produzione, l'ha aumentata in modo tale da tenere i prezzi bassi per rendere meno conveniente il fracking americano.

Oggi il petrolio è a prezzi bassissimi,dato che al barile viene venduto a poco più di 42 dollari. Se inseriamo dentro l’analisi anche l’abbassamento della domanda globale per via della crisi, il fatto che adesso anche gli inglesi hanno avuto il via libera a spaccare le rocce, che si inizierà presto a trivellare l’Alaska e che paesi come l’Iran stanno aumentando la loro produzione, prevediamo che l’oro nero scenderà ancora di prezzo.

Perché invece la benzina costa ancora tanto?

Il problema italiano è da dividere equamente tra le multinazionali del petrolio e il Governo con le sue tasse. I petrolieri sono uomini di affari: appena aumenta il prezzo del barile fanno scattare subito l’aumento dei carburanti. Quando il petrolio cala di prezzo, invece, il meccanismo di riduzione dei prezzi al consumatore è più lento, quasi impercettibile visto che molte volte non si riesce ad abbassare il costo per via dei successivi aumenti del barile.

Inoltre, in Italia, la folle tassazione a cui siamo sottoposti, fa sì che il prezzo del nostro carburante, oltre che della materia prima, sia influenzato anche da accise, IVA e addizionali regionali.

In parole povere, chiunque consuma benzina contribuisce alle casse dello Stato e delle Regioni. I dati sono assurdi se è vero che il 60% del prezzo della benzina è condizionato dalle tasse. Se paghiamo la benzina a 1,8 euro al litro, 1,08 euro vanno alle tasse, e 72 centesimi al prodotto che acquistiamo. È evidente che qualsiasi cosa accada al costo del petrolio, il calo del prezzo della benzina può riguardare solo quella piccola parte che è relativa al prodotto, variazioni minime.