Nella regione del premier Matteo Renzi fare banca oggi è business alquanto complicato, soprattutto se si cerca autonomia e indipendenza facendo conciliare questi due pilastri con la solidità patrimoniale e la capacità di rispondere alle esigenze del territorio.

E se la Cassa di Risparmio di Firenze, città che ha visto emergere e affermarsi il presidente del Consiglio,da tempi non sospetti è finita sotto l'ala protettrice di Intesa Sanpaolo, primo istituto nazionale per capitalizzazione di borsa, e le principali banche di Lucca e Carrara sono stati rilevate dalla genoveseCarige, a cercare di difendere le radici regionali sono il Monte dei Paschi di Siena e la Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio di Arezzo.

Peccato che la prima, vera e storica forza trainante dell'economia senese nonché baricentro degli equilibri politici cittadini, da tempo, ossia dagli ultimi anni della gestione targata GiuseppeMussari, è alle prese con un complesso percorso di risanamento e rafforzamento patrimoniale, costato finora 10 miliardi di euro (e passato di fatto da un intervento decisivo del governo italiano, i cosiddetti Tremonti-Bond poi trasformati nei Monti-Bond). Un percorso che ha portato alla perdita del socio di riferimento, la Fondazione Mps, che garantiva indipendenza e arroccamento alla banca stessa, ora invece senza un azionista forte vero e nel mirino di tanti operatori del credito, italiani ed esteri.

Mentre l'altro istituto regionale quotato a Piazza Affari sia ora travolto dalle inchieste che in qualche modo lambiscono il governo Renzi dopo la decisione di salvarla (assieme ad altre banche, CariChieti, Banca Marche e CariFerrara) con il decreto ad hoc. Una Etruria e Lazio forte in passato di un business, quello legato alla lavorazione e trading dell'oro, che ne faceva uno dei due attori principali di questo mercato assieme alla Popolare di Vicenza, anch'essa alle prese con un difficile salvataggio, e che per affrancarsi dal ruolo di "sorella minore"localizzata ad Arezzo in tempi non sospetti rilevò la Banca Federico del Vecchio, cassaforte e tesoreria da 125 anni delle famiglie abbienti di Firenze.

Questa fotografia così sfocata della solidità e della stabilità del credito made in Toscana non aiuta di certo a rafforzare il peso e la forza del premier. Ma porta con sè un altro tema: l'enorme difficoltà di fare credito, in maniera sana e autonomia, in una regione che non è tra le più trainanti del Paese.E dimostra ancora come sia davvero dura restare indipendenti se non si ha una base in Lombardia o in Veneto, le due aree industrialmente più avanzate e sviluppate d'Italia.

Tanto che gli istituti più solidi e oggi aggreganti del panorama nazionale sonoil veronese-lodigiana-novarese Banco Popolare, la bergamasco-bresciana Ubi Banca e la milanese Bpm, al momento la più debole delle tre ma la più ambita tra le prede che si aggirano sul mercato, assieme alla Carige di Genova.

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