Chi preleva dal conto corrente una somma superiore a 1000 euro in un giorno o a 5000 euro in un mese, dal 2017 rischia un accertamento da parte dell’Agenzia delle entrate. Ciò è quanto contenuto proprio nella legge di bilancio 2017, dove è stato approvato un emendamento che riscrive l’art. 32, comma 1, n. 2 del dpr 600/73 estendendo la presunzione di attività “in nero”.

Viene infatti stabilito un limite numerico alle operazioni sul proprio conto corrente oltre il quale scatterà una presunzione di “nero” se il contribuente non riesce a provare il contrario.

Sebbene infatti la normativa sulla tracciabilità dei pagamenti stabilisce che l’uso dei contanti è vietato per somme di denaro sopra i 3.000 euro, e nonostante le precisazioni ministeriali secondo cui tale limite non si applica a prelievi e versamenti sul conto, la nuova norma vuole imporre ai correntisti un vincolo particolarmente stringente.

Ecco tutte le misure antievasione anche degli anni passati

Negli anni passati ci sono state tutte una serie di altre norme che ribattezzate appunto anti-evasione ed anti-elusione hanno avuto quale obiettivo quello di mettere alle strette gli evasori più incalliti. Il riferimento è alle nuove regole di compilazione del Quadro RW, l’introduzione della comunicazione elettronica dei dati, alla disciplina fiscale internazionale, alla normativa sempre più stringente sulle procedure esecutive e sulla riscossione, alle modifiche al processo tributario e al regime sanzionatorio, all’obbligo dello spesometro trimestrale previsto per il 2017.

Si tratta di una serie di regole, che se da una parte rinforzano gli obblighi fiscali proprio per smascherare potenziali evasori, dall’altra parte di certo complicano la vita a tutti quei contribuenti onesti (privati ed imprese) che le tasse le hanno sempre pagate. A proposito di tasse, è bene ricordare che le entrate tributarie nel 2015 in Italia sono state di circa 440 miliardi di euro, in rapporto ad un PIL di 1.550 miliardi.

Lo Stato, con le imposte ed il costo del sistema previdenziale, drena dal circuito finanziario nazionale il 50,2% della ricchezza lorda che viene prodotta dai contribuenti. Ciò significa che metà della ricchezza prodotta viene devoluta in contributi e tasse. Ne consegue quindi che la pressione fiscale complessiva ha raggiunto circa il 68% dell’imponibile.

Ecco dunque che tali operazioni di contrasto all’evasione potrebbero aver un costo ed un impatto sul sistema economico che non è quello proprio sperato anche perché molti economisti sono concordi nel ritenere che l’evasione totale può essere attribuita per 1/3 al lavoro dipendente in nero, per la metà circa a minori redditi dichiarati dalle imprese e per il 12% circa ad altre tipologie di evasione. Posto che in Italia la stragrande maggioranza di imprese sono micro-imprese (5.400.000), il livello di evasione si attesta su un livello che viene definito «evasione da sopravvivenza» proprio in capo a tali piccole medie imprese che sono ‘costrette’, a sottrarre al fisco una piccola parte di imposte per pagare i conti.

Lo Stato, quindi invece che introdurre nuovi limiti a prelievi sul conto, potrebbe avvalersi meglio e più efficacemente delle sue 128 banche-dati, del Pra e degli altri pubblici registri, degli indicatori della capacità contributiva, ma anche dei bolli delle auto, delle assicurazioni, dei dati delle bollette energetiche, degli interessi su mutui, dello spesometro.

Soldi sul conto corrente: cosa ci si può fare?

Ecco dunque che presumere che oltre i mille o 5mila euro, i prelievi non sono giustificati vuole dire far scattare una vera e propria sanzione per chi (imprenditore o lavoratore dipendente) non riesca a dire da dove provengono i soldi sul conto corrente. L’Agenzia delle Entrate in tali casi infatti può presumere che, si nasconda un’attività in nero. Sicché è sempre bene conservare traccia dell’impiego del contante dopo un prelievo o un versamento.