La Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi di normativa antiriciclaggio con la sentenza numero 20212/17 del 21 agosto. E ha riconfermato il precedente orientamento restrittivo statuendo che la notevole ed evidente sproporzione tra i flussi di denaro in entrata ed uscita dal conto corrente in rapporto alla propria attività di lavoro autonomo o professionale rappresentano un indice di anomalia che obbligano la banca o altro intermediario finanziario a inviare una segnalazione di operazione sospetta. La Corte ha anche ribadito che il dipendente che materialmente rileva l'anomalia ha, parimenti, un'obbligo di intervento nella segnalazione e non, solamente, un ruolo meramente esecutivo.

Di conseguenza, in caso di omissione della segnalazione risponde in solido con la banca.

Il caso che ha portato alla nuova pronuncia della Cassazione

La pronuncia della Cassazione è stata originata da una controversia sorta tra il Ministero dell'Economia e delle Finanze e la Banca Popolare dell'Emilia Romagna. Il Mef aveva infatti comminato alla Bper e ad un suo dipendente una sanzione amministrativa di 350 mila euro per non aver provveduto ad effettuare le dovute segnalazioni su un conto corrente che, a seguito di successivi e più approfonditi controlli, è risultato essere stato utilizzato per farvi transitare più di 3 milioni di euro derivati da attività illecite di usura. Occorre precisare, a onor del vero, che la banca nel 2003 aveva inviato una segnalazione all'Ufficio Italiano Cambi, allora il soggetto deputato a ricevere tali segnalazioni, per un movimento di 13500 euro.

Ma era stata l'unica, anche se i movimenti sospetti sono continuati.

Le tesi difensive e la decisione della Corte

L'istituto di credito emiliano ha sostenuto di non aver inoltrato ulteriori segnalazioni in quanto lo UIC sarebbe rimasto silente alla prima segnalazione di operazione sospetta. Ma i supremi giudici hanno dichiarato che la mancanza di una risposta era irrilevante rispetto al dovere di segnalazione.

Tanto più, che erano in corso, all'epoca, delle indagini penali che imponevano riservatezza.

I giudici hanno, inoltre, precisato che, perché si dia corso ad una Sos non è necessario che l'intermediario finanziario o il dipendente dello stesso abbia la consapevolezza o la certezza che si sta perpetrando un reato, ma è sufficiente che si rilevino circostanze incoerenti, appunto la sproporzione tra i volumi intermediati e l'attività svolta dal titolare del conto.

Né, continua la Corte, non si può attribuire la responsabilità della mancata segnalazione al malfunzionamento del sistema informatico Gianos, sistema utilizzato dagli istituti bancari in questo genere di casi. E questo perché il sistema Gianos è, esclusivamente, di supporto, all'attività di valutazione di operazione sospetta, la cui responsabilità rimane totalmente in capo all'intermediario finanziario.