Esistono forme di pensione che possiamo definire standard, cioè che sono vigenti da anni ma che per raggiungere le quali, cambiano continuamente i requisiti. Le forme di pensione “normali” sono le solite di vecchiaia o di anzianità (oggi si chiama anticipata). Proprio su di esse sta per abbattersi l’aumento previsto nel 2019, quello relativo all’aspettativa di vita.

Proprio su questo argomento parti sociali e Governo cercano una intesa che renda meno duro l’inasprimento per molti lavoratori. La pensione di vecchiaia che salirà a 67 anni a partire dal 2019 sembra cosa fatta.

Proseguendo con lo stesso trend, cioè con i 5 mesi di aumento, non è da escludere che nel decreto del Ministero del Lavoro che sancirà l’aumento dell’età pensionabile, ci sia anche l’aumento dei contributi necessari per la pensione anticipata che arriverebbero a 43 anni e 2 mesi. Ma possibile che per tutto il panorama dei lavoratori italiani, le vie di uscita dal lavoro siano solo queste e soprattutto, che siano così lontane nel tempo? Esistono numerose deroghe, scivoli e scorciatoie che anche nel 2018 potrebbero consentire a molti di evitare questo autentico salasso, in barba alle norme ed a prescindere da quello che si deciderà di fare nella ormai quasi definitiva Legge di Bilancio.

APE

Si fa un gran parlare di Ape, ma quella che la maggior parte delle persone conoscono e che risulta argomento di discussione è quella sociale, cioè solo una delle 3 forme di Anticipo Pensionistico.

Con l’Ape sociale per andare in pensione nel 2018, il lavoratore dovrà centrare i classici requisiti contributivi ed anagrafici tipici di qualsiasi misura pensionistica, ma anche e soprattutto un’altra serie di requisiti stringenti. Ci vogliono 63 anni di età minima e 30 di contributi se disoccupati, caregivers e invalidi. Al contempo serve un grado di invalidità pari al 74% per le ultime due categorie e 3 mesi di assenza reddituale da Naspi per i disoccupati.

A parità di età, se il lavoratore è alle prese con una delle 11 attività gravose di cui tanto si parla, servirebbero 36 anni di età, con 6 degli ultimi 7 alle prese con il lavoro logorante. Sempre a 63 anni, l’Ape volontario prevede lo stesso anticipo per tutti, senza distinzione di categorie e senza i disagi previsti per quella sociale.

DI contributi ne servono 20, come per la pensione di vecchiaia, ma l’assegno previdenziale, seppur pagato dall’Inps è erogato con i soldi di una banca a cui poi il pensionato deve restituirli. Soldi erogati mese per mese, caricati di interessi e spese assicurative che il pensionato inizierà a restituire quando arriverà a 66 anni e 7 mesi (o 67 per via della stima di vita), sempre mese per mese, con trattenute sulla pensione futura e per 20 anni. Poi c’è la versione di anticipo aziendale (Ape aziandale), una misura simile alla vecchia isopensione, con l’azienda che si accolla l’onere di mandare in pensione il lavoratore a 63 anni, pagandogli l’assegno pensionistico ed a scelta, anche i contributi per gli anni di anticipo.

Simile all’isopensione dicevamo, perché simile sarà anche la riuscita di questa misura, cioè un autentico flop.

Precoci e altre vie di anticipo

Senza limiti anagrafici ma solo contributivi, per i lavoratori precoci c’è quota 41. Una misura parallela all’Ape sociale, dove a prescindere dall’età un lavoratore con 41 anni di contributi, dei quali uno prima del compimento dei 19 anni di età, può abbandonare il lavoro. Bisogna rientrare nelle stesse tipologie di soggetti dell’Ape sociale, con gli stessi requisiti stringenti di cui parlavamo prima. Dal 2017 senza finestre mobili e senza adeguamenti all’aspettativa di vita, lavoratori all’opera per la stragrande maggioranza del tempo nelle ore comprese tra le 22:00 e le 05:00 del mattino, oppure i palombari, i minatori, gli autisti dei mezzi di trasporto persone, gli operai delle linee a catena o quelli a contatto con altiforni, amianto e spazi ristretti, possono lasciare il lavoro a 61 anni e 7 mesi di età.

Trattasi della pensione anticipata per usuranti, quella che il Governo vuole immune dall’aspettativa di vita, probabilmente fino al 2026. A queste, per i nati nel 1952, con quota 96 raggiunta al 31 dicembre 2012, si aggiunge il salvacondotto o deroga Fornero, con la pensione che si centra a 64 anni di età. Opzione donna infine è destinata ad un pubblico di lavoratrici in gonnella, che scegliendo di lasciare buona parte dell’assegno spettante senza anticipo, possono lasciare il lavoro a 57 anni e 7 mesi di età. Servono 35 anni di contributi e bisogna accettare di farsi calcolare la pensione con il sistema contributivo in maniera integrale, ottenendo una pensione ridotta di un buon 30% rispetto a quanto effettivamente spettante rimanendo al lavoro ed attendendo la pensione senza scorciatoia.