Il tema della gestione dei crediti deteriorati, o Non Performing Loans per usare la corrente terminologia inglese, sta assumendo, e non da oggi, un ruolo centrale nel dibattito politico - economico. Fino ad oggi, però, il tema riguardava, principalmente se non esclusivamente, la stabilità e solidità patrimoniale e finanziaria dei vari Istituti di Credito, sia nazionali che europei.

Ora, però, diversi esperti stanno cominciando a segnalare che la mole di crediti deteriorati, sopratutto in Italia, è talmente elevata che le scelte future di gestione degli stessi da parte delle varie banche potrebbero avere delle conseguenze dirette sui livelli di occupazione e di conseguenza sull'aumento o la diminuzione della disoccupazione, particolarmente nel settore bancario - finanziario.

Vediamo, quindi, quali scenari potrebbero presentarsi nel prossimo futuro.

Le possibili scelte di gestione dei Npl

Di fatto, ogni istituto di credito ha davanti a sé solo due possibili opzioni. O gestire il recupero dei crediti internamente oppure esternalizzare completamente la gestione degli stessi. Si tratta, in effetti, del concetto fondamentale sui cui si basa il mercato delle cartolarizzazioni e delle società servicer.

Il problema è che la quantità di crediti deteriorati o in sofferenza presenti sul mercato è diventata talmente elevata, anche a motivo della recente crisi economica, e gli operatori che offrono servizi di recupero stanno subendo un processo di concentrazione con poche realtà molto grandi e tante più piccole.

Questo, paradossalmente, ha ridotto i margini di recupero dei crediti e aumentato i costi.

Infatti, il settore del recupero crediti è, tendenzialmente, anticiclico. In pratica, se il sistema è in fase di crescita economica il livello dei crediti da recuperare è, tendenzialmente, minore. Viceversa, in caso di crisi economica.

Di conseguenza, questo si riflette sull'occupazione nel settore bancario - finanziario.

In effetti, la scelta della gestione interna consente il mantenimento dei livelli di occupazione. Mentre la scelta della banca di esternalizzare porta le varie società ad utilizzare forme contrattuali molto più convenienti dal punto di vista dei costi aumentando il livello di precarietà.

Questo, in quanto tali società non hanno bisogno di avere la licenza bancaria per svolgere l'attività di recupero.

La disciplina contrattuale

Nello specifico, il rinnovo del contratto del settore bancario, firmato nel 2015, pone l'accento sulla ricerca dell' efficienza e, su questa base, stabilisce che le banche possono procedere a riorganizzazione del personale allocando i dipendenti anche presso società non direttamente controllate. Anche se, viene ribadito che al personale interessato da tale riorganizzazione deve essere applicato il contratto del credito. Ma dato che, nell'elenco delle attività che possono giustificare questi processi di riorganizzazione, non viene citata la gestione dei crediti deteriorati, le varie società di servicer si appellano a questa lacuna per applicare tipologie contrattuali meno onerose.

L'opinione dei sindacati di categoria

Da parte loro, i vari sindacati di categoria, come la Fabi, richiamando anche un parere conforme della Banca d'Italia, spingono per un ritorno della fase di recupero crediti all'interno della banca per tutelare maggiormente il territorio. La First Cisl è arrivata al punto di teorizzare la cosiddetta gestione paziente. Si tratta di un tipo di gestione interna del credito con successiva cessione pro soluto ad una società esterna nella cui compagine azionaria siano presenti vari stakeholders, che siano investitori di lungo periodo che evitino ripercussioni sociali e puntino ad una forte riqualificazione del personale. Purtroppo, però, la tendenza che si sta affermando sul mercato del credito è quello di andare oltre il contratto dei bancari e questo non fa ben sperare per quanto riguarda i livelli occupazionali generali e del settore in particolare.