Nonostante la recente riforma sull’utilizzo dei buoni pasto, sono in continuo aumento i commercianti che li rifiutano come forma di pagamento, rendendo di fatto i ticket inutilizzabili. L’allarme è stato lanciato dal sindacato Ugl che ha raccolto la protesta dei lavoratori di alcuni settori della Pubblica amministrazione che si vedono rifiutare i buoni pasto ricevuti mensilmente, perdendo il beneficio di quella che è diventata, a tutti gli effetti, una forma di retribuzione aggiuntiva per i lavoratori dipendenti, soprattutto quelli del settore pubblico per i quali il blocco dei contratti che si protrae da sette anni ha causato una notevole perdita di potere d’acquisto.

Le regole per spendere i buoni pasto secondo la recente riforma

I buoni pasto sono quei ticket che le aziende, sia pubbliche che private, corrispondono ai lavoratori nel caso non ci sia un servizio mensa disponibile in azienda. In teoria i buoni, quindi, dovrebbero essere spesi solo per acquistare quotidianamente, generi alimentari in sostituzione del pasto. E’ prassi comune, però, che i lavoratori utilizzino questi buoni per pagare la spesa al supermercato e, proprio per prendere atto di una realtà esistente, lo scorso settembre è entrata in vigore una riforma del settore che ha inteso regolamentare tale prassi. In virtù di questa riforma, i buoni pasto possono essere spesi anche in modo cumulativo, con il massimo di otto per ogni scontrino, e non solo più nei bar e nelle tavole calde, ma anche al supermercato, negli spacci aziendali e negli agriturismi.

Le nuove regole avrebbero dovuto incentivare la diffusione del buono pasto utilizzato come forma di pagamento, ma la realtà denunciata dal sindacato Ugl mostra che, invece, sono in continuo aumento gli esercizi commerciali che rifiutano di ritirare i ticket.

Perché i negozianti rifiutano i buoni pasto

Il caso denunciato dall’Ugl riguarda in particolare i dipendenti che ricevono i buoni pasto emessi dalla ditta ‘Qui Ticket’, come quelli dalla Polizia di Stato e del Comune di Roma, che sempre più spesso vedono affissi sulla porta degli esercizi commerciali l’avviso che i loro buoni non sono accettati o, addirittura, accettati per il 50 per cento del loro valore.

La causa, probabilmente, sta nel fatto che le aziende che emettono i ticket ricorrono ad offerte al ribasso ‘stracciate’ per vincere le gare d’appalto della Pubblica amministrazione, rifacendosi poi sui commercianti attraverso le commissioni richieste che vengono artificialmente gonfiate attraverso una serie di servizi aggiuntivi indicati genericamente come voci di ‘gestione’, lasciando in carico ai commercianti le spese di spedizione dei buoni raccolti e ritardando i pagamenti.

E’ normale, quindi, che a queste condizioni, molti commercianti si rifiutino di fornire un servizio che risulta, alla fine, effettuato in perdita secca.

La soluzione per ridurre una delle voci di spesa ribaltate sui commercianti, quella delle spedizioni, potrebbe essere l’introduzione generalizzata del buono pasto elettronico, un obbiettivo effettivamente posto dalla riforma dei ticket entrata in vigore lo scorso settembre che si scontra con difficoltà di ordine pratico che paiono, al momento, insormontabili, come la necessaria adozione di un Pos unico in grado di leggere tutte le tipologie di buoni pasto in circolazione.