Nonostante la notizia sulla falsificazione dei documenti da parte dell'Agenzia delle Entrate per non corrispondere l'Iva dovuta ad una società abbia fatto il giro d'Italia, non è giunta ancora alcuna smentita da parte dell'ente interessato. L'espressione 'Fisco-amico', che lo Stato propaganda a gran voce, in realtà nasconderebbe delle magagne che sono uscite allo scoperto soprattutto nella vicenda che si è verificata a Bari. Ripercorriamo dunque l'intera vicenda, così da comprendere ciò che i giudici tributari hanno definito una grossolana contraffazione.

L'Agenzia delle Entrate rifiuta il rimborso Iva

La vicenda che sta facendo letteralmente il giro d'Italia ha inizio ben sette anni fa quando il Fisco cominciò a contestare l'accertamento del valore dei beni venduti, di un ammontare pari a svariati milioni di euro, che non erano stati considerati congrui dalla sede provinciale di Bari dell'Agenzia delle Entrate. In giudizio, la società riesce a vincere l'appello ma, nonostante ciò, niente da fare: dal 2006 vanta un credito di oltre 200 mila euro nei confronti dell'ente e non riesce ad essere soddisfatta perché esistono delle pendenze erariali. Per questo motivo, tutte le istanze di rimborso dell'Iva vengono rigettate, fino a giungere alla data dell'ultimo rifiuto risalente al 4 marzo 2014.

A circa due anni di distanza, quando c'è stata una conciliazione tra la holding e l'ente, la società si rifà alla vittoria ottenuta nel primo giudizio e ripresenta nuovamente l'istanza, sperando che questa volta venga accolta: ma anche in questo caso non è stato possibile procedere, perché l'Agenzia delle Entrate di Bari, non avendo risposto, ha automaticamente non accettato.

Così la società ha impugnato il ''silenzio-rifiuto'' e finalmente qualcosa si è smosso.

L'accusa all'Agenzia delle Entrate: 'E' una grossolana contraffazione'

Una volta impugnato il tacito rifiuto, la società del barese è riuscita ad ottenere una risposta che però ha dell'incredibile. Secondo quanto comunicato dall'Amministrazione, l'istanza non può essere accolta perché il diniego è datato al 4 marzo 2016.

L'avvocato Massarelli, in qualità di rappresentante legale della società, ha avanzato l'ipotesi secondo la quale il documento a cui fa riferimento l'Agenzia delle Entrate è quello risalente al 4 marzo 2014: con una piccola modifica, il '4' è diventato un '6'. E a sostenerlo non è solamente l'avvocato, ma anche la Commissione tributaria provinciale che, analizzando il caso, si è schierata contro l'azione dell'Agenzia delle Entrate. Secondo quanto affermato dalla Commissione, l'ente non avrebbe fatto altro che una mera riproduzione fotostatica, creando così una grossolana contraffazione della nota che, tra l'altro, risulta inesistente dal punto di vista giuridico. Adesso, vista l'evidenza dei fatti, non resta alla sezione territoriale di Bari dell'Agenzia delle Entrate di procedere al rimborso dell'Iva dovuta alla società, al quale si aggiunge anche il rimborso delle spese sostenute dalla stessa per intraprendere il processo giudiziario.