Nove anni dopo la tempesta, l’economia spagnola torna vicina ai livelli precedenti la crisi economica. Il livello di disoccupazione è elevato, al 18.75%, ma con una crescita economica nel 2016 del 3,2% e la stima del 2,7% per il 2017, nella Penisola iberica si respira ottimismo. Il tasso di crescita tendente al 3% si registra dal 2015, nemmeno l’assenza di un governo con pieni poteri, dal dicembre 2015 all’ottobre 2016, ha minato la solidità della ripresa economica spagnola.

Le lunghe conseguenze della bolla

Le radici della profonda crisi spagnola risalgono ai primi anni del nuovo millennio quando, dopo l’ingresso nell’euro, gli istituti di credito hanno concesso facilmente prestiti a privati, soprattutto nell’acquisto immobiliare.

L’esplosione della bolla del mercato del mattone, nel 2008, ha segnato negativamente l’economia del Paese negli ultimi anni. Nel 2007, come riporta il Financial Times, il 13% della forza lavoro nazionale era impiegata nel settore delle costruzioni, erano avviati più progetti di costruzione immobiliare in Spagna che nella totalità di Germania, Francia, Regno Unito e Italia. Negli anni prima della crisi, il settore delle costruzioni pesava più del 10 per cento del Pil, mentre oggi la quota è sotto il 5.

La crisi finanziaria con la bolla immobiliare, che scoppiando ha portato al collasso il sistema bancario delle cajas, le casse di riparmio regionali, ha portato la Spagna vicina al default. Madrid ha lasciato fallire le banche non in grado di sopravvivere e ha ricapitalizzato quelle sostenibili, favorendo molte fusioni, la più celebre è quella di Bankia, che nasce dall’unione di Caja de Madrid e Bancaja, due ex colossi.

Se nel 2011 una parte centrale del sistema bancario si trovava sull’orlo della bancarotta, tanto da spingere il Governo a chiedere a Bruxelles nel giugno 2012 un pacchetto di aiuti per 41 miliardi di euro, oggi gli istituti iberici si presentano tra i meglio capitalizzati di tutta la zona euro.

Negli anni della ripresa, le esportazioni di beni e servizi sono salite dal 25 al 33 per cento del Pil, secondo i dati riportati dal Financial Times.

Le esportazioni del Paese, inoltre, sono anche maggiormente diversificate. L’aumento del dato sulle esportazioni è un risultato positivo che nasce dalle durissime riforme portate a termine dal primo governo Rajoy. il costo del lavoro è diminuito del 14% dal 2010 e dal 2012, con la riforma del mercato del lavoro, la flessibilità contrattuale è incentivata.

Il dato sulla disoccupazione, tradizionale problema dell’economia spagnola, è in netto miglioramento. Nelle proiezioni che la Moncloa, il Palazzo Chigi di Madrid, ha inviato a Bruxelles, si prevede che la disoccupazione raggiungerà all’11,2% entro la fine del 2020. In questo momento, il tasso si attesta al 18,75, dai dati rilevati nell’Encuesta de Población Activa di fine aprile. Il ricordo del 7,9% di non impiegati del 2007 è lontano, ma la lunga crisi spagnola sembra avviarsi verso un lieto fine, le speranze del governo prevedono 500,000 posti di lavoro creati ogni anno, totalizzando 20,5 milioni di occupati su una popolazione di 46 milioni di abitanti. Nella recessione durata tre anni, il tasso di disoccupazione è arrivato al 27%, con il picco del 60% tra i giovani.

Una ley laboral durissima ed efficace

Il lavoro è stato la priorità dell’esecutivo conservatore da subito. Con le nuove regole sui licenziamenti e sulla contrattazione, il leader galiziano ha vinto una scommessa cruciale: contro l’opposizione di socialisti, Podemos e sindacati, dimostrando qualità di comando non scontate. Nel dettaglio, la riforma voluta dal governo del Partido Popular nel 2012 ha ridotto drasticamente le indennità da corrispondere al lavoratore a tempo indeterminato, in caso di licenziamento senza giusta causa. Ha introdotto inoltre il licenziamento per cause oggettive, come la crisi economica di un’azienda.

La riforma di rajoy ha favorito l’incremento del lavoro precario, spaccando ulteriormente un Paese diviso tra lavoratori stabili e protetti contro lavoratori precari e con poche prospettive, ma ha ridato slancio a un Paese da tempo considerato tra i grandi malati del continente.