Massud Barzani, Presidente della regione autonoma curda, insieme ai membri dell'Alto Consiglio per il referendum, ha dichiarato che il 25 settembre è la giornata stabilita per il plebiscito sull'indipendenza dal governo federale di Baghdad, anche se quest'ultima ha disposto la sospensione della consultazione per la giudicarne costituzionalità. ''Siamo pronti a cominciare un dialogo serio, cordiale e sincero con Baghdad e la comunità internazionale dopo il referendum'' ha dichiarato il Presidente curdo; la pace sembra dunque essere una prerogativa fondamentale per questa sorta di separazione amichevole.

Nelle zone in cui il PDK di Barzani (Partito democratico del Kurdistan) gode di notevole consenso popolare, il referendum è visto di buon occhio per le opportunità economiche a cui una condizione di sovranità potrebbe portare, ma dove il PUK (Unione patriottica del Kurdistan) - rivale politico del partito democratico - possiede maggiori consensi, il voto del 25 settembre non è contemplato a causa del potere che Masud Barzani detiene ancora dopo la scadenza del suo mandato nel 2013, prorogato, secondo i rivali politici in maniera illegittima, per la seconda volta nel luglio del 2015.

Perché tanta paura?

Assad e Erdoğan, rispettivamente presidenti di Siria e Turchia, temono una frammentazione geopolitica del Medioriente, dovuta proprio alla questione plebiscitaria poiché potrebbe servire da esempio per il resto delle minoranze curde inglobate dalle potenze di Iraq, Siria, Iran e Turchia dopo il trattato di Solonna.

Non si può certo negare il ruolo fondamentale che hanno avuto i curdi nella lotta allo stato islamico (o ISIS), nel nord dell'Iraq - ma la minoranza curda stanziata nell'occidente turco combatte da anni le forze governative di Ankara con il suo esercito tramite il PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan) ed è proprio questo che intimorisce l'opinione della Comunità internazionale: il crearsi di uno stato curdo completamente indipendente potrebbe favorire i movimenti delle cellule terroristiche appartenenti all'ex califfato, sparpagliatesi per tutta la zona dopo la caduta dell'ultima roccaforte di Raqqa, sfruttando la situazione di instabilità.

Nello scenario internazionale, l'unico partito ad essere favorevole al referendum è lo stato di Israele: i curdi sono di fatto visti da Gerusalemme come possibile forza in grado di contrastare le nazioni arabe.