In questo articolo faremo il punto sulla riforma del lavoro 2014, rinominata Job Act da Renzi, che non è solo articolo 18 ma molto altro. Oltre alle modifiche dello statuto dei lavoratori vi sono anche diverse novità in materia di ammortizzatori sociali, quali l'utilizzo dei fondi TFR e l'estensione delle garanzie della cassa integrazione anche a chi non è un lavoratore dipendente con l'introduzione del salario minimo garantito. Dopo l'ok dato dalla direzione del PD il testo di legge del Job Act potrebbe arrivare in parlamento tra pochi giorni, oppure potrebbe essere collegato alla legge di stabilità che verrà presentata tra circa 2 settimane.

Passiamo adesso ad analizzare i diversi punti della riforma del lavoro di Matteo Renzi

Riforma del lavoro 2014: articolo 18, ideologia o diritti?

Il tema che più ha innescato le frizioni tra Governo e sindacati certamente è stato l'articolo 18, che è considerato un vero e proprio totem dalla sinistra. Dopo la sua approvazione negli anni settanta l'articolo 18 è già stato svuotato in buona parte dalla riforma Fornero che ha istituito l'ufficio dell'indennizzo (pari a 30 mensilità) al posto del reintegro nel caso di licenziamento senza giusta causa. La decisione tra le due soluzioni spetta ad oggi al giudice del lavoro.

Sull'articolo 18 il dibatto tra destra e sinistra si ripete da molti anni, i primi dicono che scoraggia la crescita dimensionale dell'impresa dato che si applica alle imprese con più di 15 dipendenti, i secondi dicono "o dicevano" che l'articolo 18 è uno dei pochi strumenti di difesa che ha un lavoratore nei confronti di una grande aziende, che ad esempio senza tale elemento potrebbero anche licenziare i dipendenti scomodi iscritti ad esempio a sindacati che fanno dura opposizione interna.

La proposta uscita dalla direzione punta non all'abolizione completa dell'articolo 18, rimarrebbe la parte che riguarda il reintegro per motivi discriminatori (orientamento sessuale, razza, religione, ecc), ma ad una sospensione nei primi anni di contratto.

Riforma del lavoro 2014: TFR in busta paga, pro e contro.

Il TFR, ovvero trattamento di fine rapporto, è la liquidazione che spetta al lavoratore privato dopo la cessazione dell'attività lavorativa.

Tale strumento è stato introdotto da Benito Mussolini ed è poi stato modificato da diversi governi quali il governo Prodi che ha previsto che parte dei fondi accumulati dovessero essere trasferiti all'INPS (circa 6 miliardi). L'idea di Renzi è quella di destinare il 50% delle nuove quote da versare al fondo TFR, ad un incremento della busta paga dei lavoratori.

I nodi da scogliere che lasciano perplessi i sindacati sono tre:

  • il primo è un problema di liquidità, dato che le piccole imprese potrebbero non avere i fondi per pagare subito il TFR.
  • Il secondo punto è il mancato gettito da parte dell'INPS che vedrebbe un decremento nelle entrate.
  • Il terzo problema sta nel fatto che molto spesso il TFR viene anche usato come un ammortizzatore sociale pagato dal lavoratore e non dallo stato nel caso di licenziamenti.