Secondo i dati dell’ISTAT, le donne vittima di violenza sono oltre 6 milioni. I dati sono riferiti all’anno 2014 e sono frutto di una indagine dell’Istituto di statistica che ha pubblicizzato questi dati allarmanti. Le donne vittime di violenza sia fisica che sessuale sono diventate quindi un problema sociale ed essendo tale era evidente che ci volesse una forma di tutela dal punto di vista previdenziale. Finalmente, il sistema previdenziale italiano ha dedicato a queste situazioni un briciolo di attenzione.

Cosa ha previsto la legge?

Niente potrà mai risarcire queste donne vittima di soprusi e vessazioni sia tra le mura domestiche che al di fuori e spesso anche sul posto di lavoro.

Dal punto di vista previdenziale però, la riforma del lavoro, il Jobs Act ha previsto in uno dei tanti emendamenti che le donne vittime di violenza hanno alcuni vantaggi sul posto di lavoro. Per questi soggetti, la normativa prevede la possibilità di assentarsi dal posto di lavoro per tre mesi in un lasso di tempo di tre anni. I periodi di assenza dal lavoro sono assolutamente facoltativi e possono essere frazionati a piacimento dalla lavoratrice, anche in ore giornaliere. Durante le assenze la lavoratrice non perde niente dal punto di vista dello stipendio, TFR, ferie e così via. Naturalmente anche dal punto di vista contributivo, i periodi di assenza sono coperti anche dal punto di vista pensionistico.

La donna vittima di violenza ha anche un altro vantaggio, la flessibilità del lavoro. La lavoratrice può a scelta passare dal part time al lavoro a tempo pieno e viceversa oppure tornare alle modalità lavorative iniziali. Le assenze devono però essere giustificate dalle lavoratrici che sono tenute, di fatto, a seguire i percorsi dedicati loro, dai servizi sociali dei comuni di residenza.

Violenza sul posto di lavoro e mobbing

La violenza sul posto di lavoro ed il mobbing, sono fenomeni molto diffusi e perciò degni di essere sottolineati, analizzati e soggetti a misure di prevenzione e di tutela. In effetti, la riforma del lavoro ha ammesso che, per casi accertati di violenza o di mobbing, le dimissioni della lavoratrice vittima, sono da considerarsi date per giusta causa e perciò, consentono alla lavoratrice di percepire le indennità di disoccupazione (la Naspi).

Nei casi più gravi, quelli in cui il mobbing e la violenza porti la lavoratrice ad avere una riduzione della sua capacità lavorativa, l’Inps provvede a sostituirsi al datore di lavoro per il pagamento di ciò che spetta alla lavoratrice. L’INPS però conserva la facoltà di un’azione contro terzi (i responsabili delle violenze) per il recupero di tutto ciò che da alla lavoratrice per la menomazione temporanea oppure definitiva dovuta alla violenza, persino l’eventuale assegno di invalidità o inabilità.