La recente presa di posizione del MEF sulla questione del Fondo Esodati e sulla mancanza di coperture per la proroga dell'Opzione Donna ha causato un vero e proprio terremoto politico e, nonostante la manifestazione del 15 settembre che ha visto l'uno al fianco dell'altro Salvini e Cesare Damiano, a farne le spese sarà probabilmente la riforma delle pensioni 2015: il fatto che il MEF si sia messo di traverso rispetto alla proposta Damiano per la settima salvaguardia e per l'estensione del regime speciale per le donne sembra ribadire la linea dettata da Matteo Renzi, la previdenza deve essere a 'costo zero' per le casse dello Stato.

Sulla questione specifica della 'distrazione' dei 500 milioni di euro del Fondo Esodati, è molto probabile (o, comunque, auspicabile) che il governo Renzi faccia marcia indietro, anche perché si tratterebbe di una violazione di un diritto sancito da una norma specifica (la legge che ha istituito il meccanismo delle salvaguardie); sulla questione più ampia di una riforma delle Pensioni 2015-2016, invece, è difficile che vi sia un dietrofront: qualsiasi meccanismo di uscita anticipata dal mondo del lavoro dovrà essere 'pagata' dal lavoratore che sceglie l'opzione, lo Stato non metterà a disposizione alcune forma di sostegno.

Lavoro e previdenza: le idee del governo Renzi e le ultime news sulla riforma pensioni 2015

In una recente intervista Alberto Brambilla, consulente del ministero del Lavoro con esperienza di sottosegretario dal 2001 al 2005, ha discusso alcune questioni riguardanti la previdenza e la riforma delle pensioni 2015-2016. Sulla questione del conflitto tra governo Renzi ed esodati, il consulente dà ragione senz'altro a questi ultimi: bisogna portare a termine il lavoro svolto nelle precedenti salvaguardie, anche perché è probabile che a partire dal 2016 vi saranno nuovi esodati da dover sostenere.

Sulla questione se, alle spalle della rigidità del MEF, vi sia un chiaro messaggio politico, e cioè che la riforma delle pensioni 2015, qualora si metta in campo, non dovrà pesare sulla casse dello Stato ma sulle tasche di chi sceglierà l'uscita anticipata, Alberto Brambilla invita a superare un eccesso di dietrologia e a riflettere in maniera più ampia.

Le penalizzazioni sono necessarie per un motivo molto semplice: chi intende uscire dal lavoro all'età di 63 anni non può prendere il medesimo assegno pensionistico di chi decide di uscire all'età di 66 anni, altrimenti ci dovrebbe essere qualcuno che mette questi soldi, e ad essere penalizzati sarebbero i soliti giovani. Il discorso, indubbiamente, non fa una piega ma soltanto se si parte dal presupposto che si debba uscire necessariamente a 66 anni; non sussiste, invece, se si intende la flessibilità in uscita come un'apertura ad un'idea differente di previdenza. Per il consulente Brambilla, la spesa previdenziale italiana è troppo alta e, insieme all'eccessivo costo del lavoro e al debito pubblico, sarebbe la causa principale della disoccupazione giovanile: 300 miliardi di euro annui per le pensioni sono diventati insostenibili.

È tutto con le ultime news sulla riforma pensioni 2015 del governo Renzi. Per approfondimenti sulla materia previdenziale, cliccate su 'Segui' in alto sopra il titolo dell'articolo.