Tiene ancora banco la vicenda del rinnovo del contratto dei lavoratori della Pubblica Amministrazione, o meglio continua a non trovare soluzione una questione che doveva già essere definita da tempo. Oggi invece, ancora nulla di fatto, nonostante la sentenza della Corte Costituzionale sul blocco dei contratti voluto dal Governo Monti, abbia intimato l’Esecutivo a provvedere allo sblocco. La concomitanza con la riforma della Pubblica Amministrazione che il Ministro Madia, decreto dopo decreto, sta ultimando, ha allungato i tempi delle trattative.

Il 3 febbraio, però, la vicenda del nuovo contratto ha tenuto banco in un incontro che proprio la Madia ha tenuto con i sindacati di categoria.

Si farà in tempo per l’estate?

L’incontro tenutosi mercoledì scorso è stato un primo “abboccamento”, un modo per avviare il confronto e mettere in piedi un tavolo di trattativa. Dalle dichiarazioni rilasciate dai sindacati, che hanno detto che i tempi non sono maturi (se ne dovrebbe riparlare per la prossima estate), possiamo dire che è stata una “fumata grigia”, un nulla di fatto, con le distanze ancora difficili da colmare.

Il punto è sempre lo stesso: la cifra stanziata in Legge di Stabilità da parte del Governo Renzi, che ai lavoratori sembra irrisoria.

Mettere sul piatto 300 milioni di euro da dividere tra gli oltre 3 milioni di dipendenti pubblici, e concedere 10 euro di aumenti a testa al mese, a fronte di oltre 6 anni di blocco della perequazione, non è molto. Inoltre, sempre secondo i sindacati, il rischio è che alcuni dipendenti, per via di questo piccolissimo aumento, ci rimettano addirittura.

Il primo problema è il bonus da 80 euro al mese concesso da Renzi in base alla situazione reddituale dei lavoratori. Qualche dipendente che si trova con un reddito vicino ai 25.000 euro (soglia oltre il quale il Bonus Renzi non è concesso) rischia, a causa di questi esigui aumenti, di vedersi revocare proprio gli 80 euro. In altre parole, per prenderne 10 in più, si rischia di perderne 70.

Intreccio con la riforma Madia

Altro problema è lariforma della Pubblica Amministrazione che, secondo i sindacati, non dovrebbe essere in alcun modo intrecciata con il rinnovo dei contratti. Per i rappresentanti dei lavoratori, le due cose sono distinte e non vanno confuse. I punti dolenti sono la riduzione dei comparti e la meritocrazia sui premi di produttività voluti dall’ex Ministro Brunetta. Sul primo punto, i lavoratori rischiano di perdere parte delle retribuzioni di carattere non fisso previste dai loro stipendi. Infatti, nonostante sia previsto che l’accorpamento di alcuni comparti debba lasciare inalterato lo stipendio dei lavoratori, molti di questi dovranno rinunciare alla parte variabile, ossia trasferte, rimborsi e così via.

Per quanto riguarda la meritocrazia, le tre fasce di merito previste da Brunetta, rischiano di far perdere soldi alla prima fascia, quella dei “meno meritevoli”, ed alla fascia media, consentendo aumenti in busta paga solo per pochi. I dubbi sui criteri di valutazione dei dipendenti è un altro nodo tutt’altro che semplice da sciogliere. Insomma, tutto ancora in alto mare, troppa carne a cuocere sul lavoro nella Pubblica Amministrazione e chi rischia di rimetterci, in un modo o nell’altro, è sempre il lavoratore.