La Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n.5072/2016 ha fornito una risposta decisa alla precarizzazione del rapporto di impiego e all’abuso del ricorso del contratto a termine oltre i 36 mesi.Occorre ricordare che sulla questione, in questi anni, si sono formati due orientamenti giurisprudenziali. Un primo ritiene che, in caso di violazione della legge imperativa sui rinnovi, si può procedere solo al risarcimento dei danni subiti senza convertire il rapporto di lavoro a tempo indeterminato. In tali casi si deve applicare l’articolo 35, Legge n 183 del 2010 che prevede un’indennità omnicomprensiva che può arrivare fini ad un massimo di dodici mensilità.

Un secondo orientamento, invece, ritiene che la liquidazione del danno debba avvenire applicando il criterio di cui alla Legge n.604/1966, che fissa un risarcimento configurabile come sanzione a carico del datore che va dalle 2,5 alle 6 -14 mensilità

Le motivazioni della Cassazione a sezioni Unite

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, individuando il criterio per quantificare il risarcimento del danno per gli illegittimi rinnovi dei contratti a tempo determinato oltre i tre anni, innanzitutto ha sottolineato le differenze fra la disciplina del rapporto di lavoro privato e alle dipendenze della PA. Sebbene infatti la conversione del rapporto di lavoro flessibile a tempo indeterminato si riferisce solo al settore privato (articolo 36 del DLgs 165/01) e non a quello pubblico, non si pone in tali casi un problema di compatibilità con il principio di uguaglianza (previsto dall'articolo 3 Cost) per via della diversa modalità di accesso all’impiego.

Dato che al settore pubblico si accede sempre attraverso concorso infatti non si può mai applicare la forma risarcitoria-conversione prevista dall’art.36 DLgs 165/01 per la violazione di disposizioni imperative sull’assunzione dei lavoratori. Ciò non toglie, come auspica anche la Corte di giustizia, che l'ordinamento italiano deve sempre porre rimedio a quelle situazioni di abuso nel ricorso ad una successione di contratti a termine nel pubblico impiego in virtù anche dei principi di uguaglianza ed effettività.

Gli Ermellini hanno quindi evidenziato che in tali casi sebbene il dipendente non perde alcun posto di lavoro si può configurare però un danno patrimoniale che comprende sia perdita subita, sia il mancato guadagno

Automaticità del risarcimento e nessun onere della prova

I giudici di legittimità, avvicinando in parte i rimedi contro le posizioni di precariato nel settore pubblico e privato, hanno riconosciuto in capo al lavoratore pubblico un’indennità onnicomprensiva tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale.

Gli Ermellini con tale importante principio di diritto, se da una parte hanno ribadito che resta fermo il divieto di applicare l’articolo 36 del DLgs 165/2001, dall’altro lato hanno anche eliminato in capo al lavoratore l’onere di provare l’effettivo danno subito. In breve si è colmato quel deficit di tutela che sarebbe conseguito se si fosse applicata la direttiva 1999/70/CE, che pone in capo al lavoratore l’onere di provare il danno subito da perdita di chance per avere istaurato un rapporto di lavoro precario con la PA. All’indennizzo a carico del datore di lavoro si procede quindi sempre in via automatica tenendo conto dei parametri scritti nella legge 604/1966 ovvero dell’anzianità di servizio e delle condizioni concrete del caso specifico.

Ne consegue che essendo preclusa la conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sussiste solo il diritto al risarcimento del danno cosidetto 'comunitario', che è presunto, in accordo al dictum della Corte di Giustizia Europea. Esso può essere risarcito in modo forfettario nei confronti del lavoratore pubblico che può sempre provare in sede di liquidazione del danno di aver subito un danno ulteriore rispetto a quello prestabilito. Per altre info di diritto premi il tasto segui accanto al nome