Poteva essere un’occasione importante per iniziare a discutere su come riformare il nostro sistema previdenziale, ma l’incontro del 24 maggio al Ministero del Lavoro tra esponenti del Governo e sindacati ha parzialmente deluso le attese. Nessun nuovo documento è stato stilato né tantomeno discusso, ma ci si è limitati a fissare altre date per successivi incontri dividendo la questione pensionistica dalle altre problematiche sul lavoro. Da riportare però la soddisfazione dei sindacati sugli esiti di questo primo incontro con il Governo che si è dimostrato pronto ad discutere, ed è già una cosa buona.

Le notizie che trapelano dicono che il Governo è al lavoro incessantemente per predisporre i correttivi alla Legge Fornero così vessatoria nei confronti dei lavoratori e gli interventi non si fermeranno all’APE.

Flessibilità in uscita si, ma servono interventi anche sulle pensioni in essere

Il tema più dibattuto e sul quale le proposte da anni ormai si sprecano è sempre la flessibilità in uscita, il consentire ai lavoratori di poter anticipare la pensione anche rinunciando a qualcosa. Il Governo su questo punto ha già il progetto pronto, cioè l’Anticipo Pensionistico, l’APE. Se non si farà una brusca marcia indietro o se non si proveranno altre soluzioni, quasi certamente nella prossima Legge di Stabilità, questo sarà uno dei punti da inserire.

I tempi ristretti che prevedono per ottobre la stesura e presentazione della manovra di autunno spingono a pensare che difficilmente si potrà deviare da quella che è la soluzione trovata dal Governo per rispondere alle esigenze di flessibilità previdenziale.

Si parte quindi da uscita concessa a 63 anni con penalità crescenti in base agli anni di anticipo ed al reddito dei futuri pensionati.

Inoltre, le Pensioni non saranno pagate dall’Inps, ma da istituti di credito sotto forma di prestito pensionistico. La ricerca delle coperture infatti è sempre l’ostacolo più arduo da superare, nonostante l’annunciato si allo sconto sui vincoli provenienti da Bruxelles che sembra verrà concesso al nostro Esecutivo. Nonostante Damiano ed altri importanti soggetti spingano per evitare l’ingresso delle banche nel sistema pensionistico, sarà difficile che ci si discosti troppo dal sistema che sta per mettere a punto il Governo.

La discussione si incentrerà probabilmente sulla età minima di uscita, perché c’è chi spinge per anticiparla a 62 anni o sulle percentuali di penalizzazione. Gli interventi però non possono ridursi solo all’anticipo di uscita dal lavoro, ma è necessario provvedere anche sulle pensioni già in pagamento, come le minime.

Minime e riscatti di laurea potrebbero essere ritoccati

I dati statistici sul mondo delle pensioni, quando si parla di pensioni minime sono allarmanti. Secondo gli studi dell’INPS, oltre due milioni di pensionati hanno assegni sotto i 26mila euro annui e molti di questi sono vicini alla soglia di povertà. Gli interventi su cui il Governo lavora per abbattere quelle che sono delle autentiche barriere sociali per gli assegni minimi si riducono all’estensione a questi pensionati del bonus da 80 euro al mese che Renzi ha deciso di erogare lo scorso anno ai lavoratori dipendenti.

L’intervento però costerebbe svariati miliardi ed il nodo delle coperture ne potrebbe inficiare l’applicazione. Un altro problema previdenziale è il riscatto di laurea oneroso, a pagamento. Molti laureati non riscattano il periodo di studio quando vanno in pensione proprio per via dell’onerosità dell’istituto. Si pensa di abbatterne l’esosità magari consentendo a questi lavoratori di riscattare questi periodi più facilmente per anticipare l’uscita, senza però conteggiarli come contributi utili al calcolo dell’assegno, In questo caso, a fronte di una uscita anticipata dal lavoro, il pensionato otterrebbe un assegno inferiore, quindi penalizzato.