Non sarà certo un terremoto, ma le proposte, le voci e tutto quello che si dice in questi giorni sul tema della previdenza e della flessibilità, spingono a credere che a 62 anni o giù di lì, si potrà scegliere se andare o meno in pensione. Questa l’unica via che sembra plausibile per ciò che riguarda la riforma delle Pensioni. Ma come funzionerà il tutto e soprattutto, chi saranno i soggetti che ne potranno beneficiare?

Pensioni flessibili

La base di partenza di questa flessibilità in uscita dal mondo del lavoro trae spunto dal disegno di legge di Damiano.

Prevede l’uscita dal lavoro a partire dai 62 o 63 anni, accettando una penalizzazione di assegno nell’ordine del 2% all’anno, per ogni anno di anticipo rispetto alle attuali regole. In parole povere, essendo oggi i requisiti anagrafici fissati a 66 anni e 7 mesi, chi decidesse di uscire a 62 anni, con il massimo anticipo, cioè 4 anni, si vedrebbe liquidata una pensione ridotta dell’8%. Sicuramente una riduzione che oseremmo definire accettabile, non un salasso come sta capitando con opzione donna, dove le lavoratrici subiscono tagli anche del 30%. Bisogna però dire che opzione donna prevede l’uscita prima dei 60 anni, a 57 e tre mesi, quindi il paragone regge poco. Raggiungendo il requisito minimo dei contributi fissato a 20 anni, la pensione di vecchiaia si potrà ottenere a scelta da parte del lavoratore.

In questo modo si potrebbe dare vita anche al ricambio generazionale anticipato, cioè una azienda dovrà per forza di cose sostituire in anticipo rispetto alle previsioni, il vecchio lavoratore con uno nuovo. Secondo i fautori di questa proposta, con un solo provvedimento si sistemerebbe il capitolo previdenza e quello del lavoro e della disoccupazione.

Uscita si ma non per tutti

Naturalmente il provvedimento, sempre se diventasse esecutivo, non risolverebbe tutti i problemi di tutti i lavoratori. Potrebbero beneficiarne i disoccupati di 62 o 63 anni che raggiunta questa età, non resterebbero 4 anni senza reddito. Potrebbero ottenere una sorta di pensione anticipata in prestito, che poi restituirebbero quando l’INPS concederà definitivamente la pensione.

In via alternativa, senza ricorrere al prestito si potrebbe concedergli l’uscita con una penalizzazione in base agli anni di anticipo. Secondo questa seconda opzione, la penalizzazione sarebbe soltanto fino a quando non si sarà rimborsata l’equivalente della pensione percepita in anticipo. Anche i lavoratori che sono vessati da provvedimenti di licenziamenti collettivi, i cosiddetti esuberi, sarebbero interessati da questa pensione anticipata. In questo caso, alla stregua della isopensione, il datore di lavoro dovrebbe provvedere a integrare la pensione del lavoratore. Anche i lavoratori con grossi stipendi e quindi con grosse rendite pensionistiche già maturate, i grandi manager, i dipendenti altamente qualificati e così via potrebbero beneficiare di questa uscita anticipata.

Infatti per questi soggetti che percepiranno trattamenti previdenziali corposi, non sarebbe deleterio accettare l’anticipo con assgno penalizzato, anche se a vederla tutta, il loro 8% di penalità significherebbe accettare riduzioni di assegno di cifre con diversi zero.