Per i lavoratori statali questo, probabilmente, sarà ricordato come un periodo nero. Infatti, al contrario di quello che si pensava, la riforma della Pubblica Amministrazione ed il cambiamento delle norme del lavoro nel Pubblico Impiego non è certo finito con la riduzione dei comparti. Oggi è iniziato il tavolo della trattativa tra Governo e sindacati per quanto concerne un rinnovo del contratto collettivo che gli statali aspettano da oltre 7 anni. Ma le notizie che sono fuoriuscite dal summit non sono quelle che molti auspicavano, anzi, per i lavoratori nulla sarà come prima e sembra finita l’epoca in cui tutti consideravano i lavoratori statali come dei privilegiati.

Cosa è uscito fuori dall’incontro

Il fatto che trovare un accordo era arduo lo si sapeva già. Di fatto, forse non basterà neanche una sentenza della Corte Costituzionale, quella dello scorso anno che bocciò il blocco del contratto della Fornero e del Decreto Salva Italia di Monti, per riuscire a sbloccare gli stipendi di tutti i lavoratori statali fermi al 2009. Difficilmente si poteva credere che l’incontro di oggi finisse con una inversione di tendenza del Governo sulle cifre stanziate nella scorsa Legge di Stabilità. Di fatto le cifre restano quelle e sperare in un nuovo stanziamento con la prossima finanziaria è lecito, ma niente affatto scontato. Gli aumenti seguiranno sicuramente la nuova via scelta dal Governo e dal Ministro Marianna Madia, quella del merito.

Niente aumenti quindi per i dipendenti che risulteranno poco virtuosi, che non risulteranno tra i più meritevoli in base ad una classifica stilata con regole ancora poco chiare e da una commissione giudicante che ancora non si capisce da chi sarà composta.

Il lavoro statale non è più sinonimo di posto fisso

Un luogo comune da sempre è che il posto statale è il posto di lavoro più sicuro che c’è.

Al contrario degli altri lavoratori, che devono fare i conti con crisi aziendali, licenziamenti, fallimenti ed altri eventi, per così dire catastrofici del mercato del lavoro, per i lavoratori pubblici la sicurezza del posto era una cosa di cui molti erano invidiosi. Con la riforma della Pubblica Amministrazione che ormai la Madia sta portando a termine niente di questo sarà vero.

Infatti, dopo la mano pesante sui “furbetti del cartellino”, i famosi assenteisti, che timbravano la loro presenza al lavoro e poi andavano via dal proprio posto e che oggi sono licenziabili quasi in tronco, adesso è la volta degli esuberi.

Su questo argomento sono stati già abbastanza chiari i quotidiani “il Corriere della Sera” ed "Il Messaggero" di oggi 26 luglio che hanno anticipato alcuni contenuti della riforma ed il loro impatto sui lavoratori. I lavoratori potranno essere trasferiti in base alle esigenze degli Enti, anche quelli per cui non lavorano. Mobilità obbligatoria nel raggio di 50 Km dal precedente posto di lavoro. Se invece risultassero in esubero, la loro collocazione sarà in “disponibilità”, senza lavoro ma con stipendio ridotto del 20% per 24 mesi, al termine dei quali senza nuova collocazione lavorativa, perderanno il proprio posto definitivamente.

Stesso discorso anche per i dirigenti che anzi, avranno come nuovo obbligo, quello di relazionare ogni anno sull’andamento del proprio Ente dal punto di vista dei risultati e sulle eventuali eccedenze di personale, cioè su soggetti di cui l’Ente numericamente non ha più bisogno.

Altra novità sarà quella degli scatti di anzianità, che non verranno erogati a tutti i dipendenti in base agli anni di servizio, ma solo al 20% di ciascun Ente. Con quale criterio? Naturalmente il merito, che oltre ad indicare il soggetto a cui saranno erogati i premi, ne caratterizzerà anche gli importi. Questi ultimi inoltre saranno stabiliti anche in base alle risorse a disposizione dell’Ente stesso.