Sta entrando nel vivo la questione del contratto del pubblico impiego che andrebbe rinnovato per adeguare gli stipendi dei lavoratori alla perequazione, così come ordinato dalla Consulta lo scorso anno. La fase è cruciale perché il Governo sta definendo il quadro completo della prossima Legge di Bilancio da presentare ad ottobre. L’occasione è di quelle da non lasciarsi sfuggire perché nella finanziaria si decidono cifre, soldi da stanziare e programmi di spesa per l’anno venturo ed ipotizzare interventi con provvedimenti singoli dopo la manovra, resta un esercizio azzardato.

Ecco perché i sindacati hanno organizzato un incontro collettivo il 22 settembre, proprio per mettere a punto una linea unica da presentare al prossimo appuntamento con l’Aran.

Il punto al 20 settembre

Da sette anni il contratto dei lavoratori del pubblico impiego è bloccato e la Corte Costituzionale ha bocciato questo blocco, almeno per quanto riguarda quello inserito nel Decreto “Salva Italia” di Monti e del Ministro Fornero. Incostituzionale è stato definito dai giudici quel blocco che di fatto non faceva adeguare il salario dei lavoratori al tasso di inflazione che via via, negli anni cresceva. In parole povere, anche se non è stato sancito alcun arretrato da restituire ai lavoratori come era successo con i pensionati, penalizzati alla stessa maniera dalla Fornero, dal luglio 2015 i lavoratori aspettano il rinnovo ed i relativi aumenti.

Cifre e date da cui iniziare a calcolare il rinnovo sono i primi nodi da sciogliere e le prime problematiche che minano l’accordo tra Governo e parti sociali. Il Governo ha messo da parte, con la manovra finanziaria del 2016, 300 milioni di euro per il rinnovo e pensa di farlo partire dal 1° gennaio 2017. I sindacati invece, a fronte di una perdita pro capite di 10mila euro totali da parte dei dipendenti in questi anni di blocco, chiede cifre più alte, anche di più dei 500 milioni che, indiscrezioni dicono siano quelli che il Governo vuole inserire con il nuovo atto di ottobre.

Inoltre, per i rappresentanti dei lavoratori, il rinnovo deve scattare dalla pubblicazione della sentenza, quindi da luglio 2015.

Scenari attuali

Distanze evidenti tra le parti che si accentuano per via delle novità che la riforma della Pubblica Amministrazione ha introdotto nel lavoro statale. Le ipotesi di intervento, come riporta il quotidiano “Il Sole24Ore” sono varie e diverse, ma non soddisfano i sindacati.

Un contratto ponte, che eroga i pochi soldi disponibili per sedare le polemiche e che rimanda tutto il lavoro sul rinnovo vero e proprio al 2017 è solo l’ultima idea che trapela. Resta sempre in piedi la possibilità di concedere aumenti di stipendio in base al meccanismo della meritocrazia, cioè ai dipendenti valutati come più virtuosi. Parametri di valutazione ed organi giudicanti però non sono chiari e soprattutto vanno detonate le rigidità delle fasce di merito e le percentuali spettanti.

Le caratteristiche delle fasce, che dovrebbero essere le stesse anche per i premi di produttività che non saranno più erogati a pioggia ai dipendenti, sono molto discriminatorie. Il 50% delle risorse finirebbe nelle tasche del 25% dei lavoratori, lasciando le briciole o addirittura niente agli altri.

Da altre fonti sembra che si pensi di erogare aumenti in cambio di un aumento delle ore di lavoro che salirebbero a 40 a settimana. Naturalmente, a fianco a questo incremento di lavoro da svolgere si andrebbe a mettere una sorta di flessibilità, cioè sarebbe il dipendente a scegliere, rinunciando però all’aumento, se aderire o meno alle ore di lavoro in più. Un meccanismo alquanto strano se si pensa di inserirlo in una piattaforma di rinnovo contrattuale, soprattutto perché toglierebbe una materia come l’orario di lavoro dalle trattative sindacali, una limitazione contrattuale che i sindacati non potranno accettare, soprattutto dopo le rinunce provenienti dalla riduzione dei comparti.