Il fulmine a ciel sereno lo ha lanciato la scorsa settimana "Il Messaggero": il governo starebbe pensando di aumentare l'orario di lavoro degli statali, che oggi hanno una settimana lavorativa di 36 ore, spesso articolata su 5 giorni. L'aspetto sorprendente, però, è che l'idea sarebbe stata avanzata da un sindacato e non dalla Confindustria, né dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi.

Ci ha pensato poi "Il Sole 24 Ore", all'inizio di questa settimana, a svelare il mistero: è stato il sindacatoConfsal-UNSAad inviare la proposta al Ministro per la Pubblica Amministrazione Marianna Madia, chiarendo di voler trovare soluzioni per ammortizzare l'impatto negativo del blocco stipendiale che, nel pubblico impiego, a differenza del privato, dura da oltre 6 anni.

Una proposta in seguito pubblicata anche sul sito ufficiale del sindacato in questione, già noto alle cronache per aver obbligato il governo Renzi a riaprire la contrattazione nella PA, grazie ad un'azione giudiziaria culminata con la sentenza n.178/15 della Corte Costituzionale.

Statali: settimana di 38 o 40 ore?

Tra le ricostruzioni giornalistiche e la proposta sindacale ci sono, però, delle differenze di sostanza. Diversi media hanno parlato dell'idea del governo di collegare gli aumenti di stipendio del futuro contratto ad una settimana di 40 ore lavorative, come avviene nel privato. Al contrario, la Confsal-UNSA nel suo documento propone un'opzione per una settimana di 38 ore da scegliere volontariamente,che si tradurrebbe in un corrispondente aumento di stipendio; l'UNSA inoltre chiarisce che tale trattamento economico si dovrà sommare all'aumento previsto dal futuro nuovo contratto del pubblico impiego.

La discussione intanto è partita, sia nelle stanze della Presidenza del Consiglio, sia nell'Aran (l'Agenzia governativa responsabile delle trattative con i sindacati per il pubblico impiego), così come su tutto il fronte sindacale e tra gli stessi lavoratori.

Eppure questa tipologia di orario non rappresenta una novità totale per il settore pubblico.

Nel contratto della Presidenza del Consiglio dei Ministri è già presente una clausola che consente ai lavoratori di poter optare per una settimana di 38 ore, garantendosi un aumento in busta paga fino a 500 euro al mese.

Interessante anche la copertura finanziaria avanzatadal sindacato. La Confsal-UNSA afferma che la proposta avrebbe un impatto minimo sulle casse pubbliche, poiché si potrebbe utilizzare lo stanziamento per il lavoro straordinario che si aggira sui 2,3 miliardi di euro annui.

In compenso, avverte il sindacato, le maggiori risorse che andrebbero stanziate sarebbero giustificate da una migliore organizzazione del lavoro, da una maggiore produttività e da maggiori servizi erogati alla cittadinanza.

Le reazioni dei lavoratori

Qualcuno si sente tradito dal sindacato, perché teme che il prossimo aumento di stipendio del nuovo contratto, atteso da ben 6 anni, sia legato ad una settimana lavorativa più lunga. Ciò starebbe a significare nessun guadagno per gli statali.

Dai social emergono comunque posizioni molto diverse, segno che il sasso nello stagno è stato lanciato. C'è chi si oppone con uno "Stiamo scherzando?" o "Siete pazzi?", mentre qualcun altro analizza le opportunità che ci sarebbero dietro questa proposta e commenta "L'UNSA è furba, non è mica scema.

Con 8 ore al giorno si guadagna il diritto al buono pasto per tutta la settimana".

Il Segretario Generale della Federazione Confsal-UNSA, Massimo Battaglia, ha però tenuto a tranquillizzare gli animi: "Invito tutti i lavoratori a leggere attentamente la nostra proposta che è basata su due pilastri irremovibili: la volontarietà e la remunerazione fissa e continuativa in busta paga che si dovrà aggiungere a quella che negozieremo col governo per il nuovo contratto. Non intendiamo fare sconti al governo, solo usare meglio i soldi pubblici a vantaggio di chi vuole lavorare".Il dibattito è ormai aperto su tutti i fronti.