Il profitto giustifica il licenziamento dei dipendenti. Da oggi in poi, o meglio, dal 7 dicembre scorso, questo assunto fino ad ora rigettato dai tribunali italiani potrebbe, come si dice in gergo, iniziare a ‘fare giurisprudenza’. Stiamo parlando della sentenza n.25201 del 7 dicembre 2016 con cui la Corte Suprema di cassazione della Repubblica italiana, Sezione Lavoro, ha accolto il ricorso proposto dalla società Riva del sole Spa. Quest’ultima aveva visto annullare, nel processo di Secondo Grado del 29 maggio 2015 (Corte di Appello di Firenze) il licenziamento (confermato in Primo Grado) del suo dipendente Franco Patrizio Tanganelli, avvenuto l’11 giugno del 2013.

Licenziamento considerato illegittimo dai giudici fiorentini perché risultava “motivato soltanto dalla riduzione dei costi e, quindi, dal mero incremento del profitto”. Deliberazione ribaltata, come si diceva, dai colleghi Ermellini che, in pratica, aprono le porte al licenziamento per profitto. Non proprio una giusta causa.

Analisi della sentenza della Cassazione

Esaminiamo nello specifico alcuni punti di una sentenza che sta già facendo discutere (questo il link della sentenza completa e originale http://www.foroitaliano.it/wp-content/uploads/2016/12/cass-civ-25201-16.pdf). I cinque giudici del collegio deliberante, i cui nomi rischiano di passare alla storia, sono Vincenzo Di Cerbo (presidente), Federico Balestrieri, Federico De Gregorio, Lucia Esposito e Fabrizio Amendola.

Gli “Illustrissimi Signori Magistrati”, così vengono appellati nel documento, hanno accolto il ricorso della Riva del sole basandosi su due norme: l’articolo 41 della Costituzione e la legge n.604 del 15 luglio 1966.

Per quanto riguarda l’articolo 41 della Carta Costituzionale (“L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”), i giudici della Cassazione lo interpretano come “quel principio per cui l’imprenditore è libero, pur nel rispetto della legge, di assumere quelle decisioni atte a rendere più funzionale ed efficiente la propria azienda, senza che il giudice possa entrare nel merito della decisione”.

In pratica, come sostenuto dagli avvocati della Spa, permettere ad un imprenditore di “sopprimere una specifica funzione aziendale” (così chiamano il licenziamento ndr) solo in caso di crisi economica, è considerato come un “limite gravemente vincolante l’autonomia di gestione dell’impresa”.

Passando alla legge 604 del 1966, viene citata la parte dell’articolo 3 che recita: “Il licenziamento per giustificato motivo è determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.

Dunque, secondo la Cassazione, dalle giuste cause di licenziamento non possono essere escluse “quelle che attengono ad una migliore efficienza gestionale o produttiva, ovvero anche quelle dirette ad un aumento della redditività dell’impresa”. In pratica, viene lasciata una totale libertà di scelta nelle mani degli imprenditori privati perché, una diversa interpretazione dei fatti, si legge nel testo, “non trova riscontro in dati interni al dettato normativo bensì viene patrocinata sulla base di elementi extra-testuali” come, concludono con cinismo, l’opportunità sociale.