Il referendum è stato un vero e proprio terremoto per la politica italiana. La vittoria del NO, che di fatto ha portato alle dimissioni del Premier Matteo Renzi, apre la crisi di Governo. Un problema particolare è il periodo in cui questo scossone è avvenuto, cioè quello in cui si deve approvare la legge di Bilancio, la classica manovra di fine anno, un atto dovuto e imprescindibile del Governo. All’interno della manovra, che ricordiamo deve essere approvata entro la fine del 2016, il pacchetto previdenziale, una mini riforma delle Pensioni. Proprio su questo che i cittadini risultano essere maggiormente preoccupati, perché nonostante critiche e polemiche sui punti del pacchetto, qualcuno potrebbe sfruttare le novità per andare in pensione prima del previsto.

Non è la prima volta

Una cosa del genere a dire il vero era successa 4 anni fa con il Governo Monti che, più o meno di questi tempi, lasciò la carica presentando le dimissioni all’allora Presidente Giorgio Napolitano. In quel caso, il presidente della Repubblica chiese a Monti di continuare a condurre l’Esecutivo fino all’approvazione della manovra finanziaria per poi lasciare la carica. Quel passaggio evidenziò l’importanza e l’improrogabilità della manovra a prescindere dalle vicissitudini politiche e dalle crisi di Governo. Lo schema potrebbe essere lo stesso di allora, quando poi si andò a votare il febbraio successivo e che sia Renzi a portare avanti i lavori della manovra, o un altro soggetto con compiti di traghettatore, sembra che il rischio per la manovra finanziaria non sia così elevato.

Certo, la storia insegna anche che ci sono stati casi in cui il Parlamento non ha approvato la manovra, facendo scattare l’esercizio provvisorio, ma dopo le parole di Mattarella, che ha chiesto al premier di restare fino all’approvazione della legge, sembra che il pericolo commissariamento sia labile. Troppo pericoloso portare l’Italia allo smacco dell’esercizio provvisorio, come il Governo Goria nel 1987 (ultimo caso) quando i franchi tiratori stopparono la manovra finanziaria.

Di fronte all’Europa, questa è una evenienza da scartare, perché l’attività di Governo verrebbe bloccata dall’esercizio provvisorio che serve solo per consentire all’Esecutivo di svolgere le mansioni urgenti, come pagare gli stipendi ai dipendenti e poco altro.

Pensioni, tutto ok?

Adesso bisognerà snellire le operazioni in Senato, dove si trova la legge di Bilancio attualmente e dove ci si aspetta l’ok definitivo.

Se tutto filerà per il verso giusto, l’approvazione arriverà entro la scadenza. Ottime notizie per i lavoratori che grazie al pacchetto previdenziale potranno andare in pensione nel 2017. L’APE diventerà realtà dal prossimo 1° maggio, così come Quota 41 per i precoci. Conferma anche per il cumulo gratuito dei contributi, l’estensione di opzione donna e l’allargamento dell’ottava salvaguardia esodati. Per le pensioni in essere, quattordicesima potenziata ed estesa e bonus per le minime. Nulla cambierà perché probabilmente il Senato approverà subito il testo proveniente dalla Camera dei Deputati, il tutto come atto di responsabilità. Se coloro i quali avevano trovato nelle novità previdenziali uno scivolo per anticipare l’uscita dal lavoro, possono tirare un sospiro di sollievo, la platea dei delusi dal pacchetto resterà tale.

Ipotizzare modifiche al testo appare esercizio di fantasia dopo il referendum e gli scossoni susseguenti, come le dimissioni del premier, la convocazione urgente dei vertici del PD, evidentemente spaccatosi sulla consultazione elettorale. Niente da fare per quota 41 a tutti, come rivendicato dai precoci anche se, a dire il vero, l’ipotesi era difficile anche prima del referendum. Nessun cambiamento sull’APE social, nessuna nuova categoria sarà considerata gravosa oltre alle iniziali 11 e, soprattutto, tutto fermo dal punto di vista dei requisiti necessari per l’accesso. Ma è naturale, le correzioni si fanno quando c’è a chi proporle, cosa che oggi non sembra essere così.