Dopo l'annuncio della chiusura del Comitato Opzione donna oggi aggiorniamo la nostra rubrica “Parola ai Comitati” ospitando la fondatrice Dianella Maroni.

Siamo giunti al termine di un percorso difficile: quali sono le sue emozioni ed i suoi pensieri al riguardo?

Con questa legge di bilancio si chiude il cerchio e si ripristina il diritto arbitrariamente modificato da due circolari INPS. La legge 243/04 raggiunge la sua compiutezza e chiude la sperimentazione prevista. Sono veramente felice per le donne che potranno, se lo vogliono, andare in pensione optando per il calcolo con il sistema contributivo.

Ovviamente il mio pensiero va in primis alle donne senza lavoro, che finalmente potranno avere un mensile lasciandosi alle spalle l’angoscia di questi ultimi anni.

Quale sarà, a suo parere, l’eredità storica lasciata dal Comitato?

Il comitato opzione donna, definito “mitico“ dal ministro Poletti e riconosciuto come parte sociale dalle Istituzioni, ha fatto la differenza per più di una ragione. E’ stato un comitato al femminile che portava avanti la lotta delle donne per un diritto che le riguardava. Donne quasi sessantenni che si sono trovate di fronte ad un sopruso che le vedeva soccombenti nonostante il possesso dei requisiti previsti dalla legge. Scippate del loro diritto alla pensione senza una ragione, non potevano stare zitte.

Il comitato nasce proprio per trovare le donne che sparse in tutt’Italia, non avevano trovato ancora il loro riferimento, stante che anche i sindacati non si erano fatti carico del problema ma si limitavano a sconsigliare tale scelta perché poco conveniente e non ritenevano di attivare ricorsi o lotte mirate per la soluzione del problema.

Nelle rivendicazioni del dopo Fornero, a volte la nostra questione era segnalata in fondo all’elenco. Insomma una battaglia considerata persa in partenza per la quale non valeva la pena lottare. La nascita di un comitato con un obiettivo chiaro oltre ad una strategia delineata e regole precise, il tutto sancito nell’atto costitutivo, ha segnato la svolta.

Il lavoro serio, la competenza, la correttezza, il saper mettersi in gioco, il lavorare per e non contro nel rispetto dell’interlocutore politico, l’informazione e l’utilizzo dei media, il dialogo con le istituzioni e i loro rappresentanti, l’educazione e l’onestà intellettuale hanno fatto la differenza. Abbiamo manifestato in piazza ma la nostra lotta è sempre stata “elegante“, con il rossetto e il sorriso. La nostra eredità: un pensiero forte, un obiettivo preciso, una strategia di strumenti e percorso, una voce chiara, il tutto intriso da capacità propositiva e correttezza.

Quali sono stati, secondo lei, i momenti chiave che hanno fatto la differenza nel raggiungimento del risultato?

Gli aspetti e i passaggi chiave sono stati diversi, ma mi limiterò a tre fondamentali:

1 ) il rapporto di collaborazione con la Commissione lavoro che ci ha permesso di presentare in conferenza stampa alla Camera dei Deputati il 30 ottobre 2014 le nostre ragioni e la nostra diffida collettiva alla quale seguirà la vera e propria class action;

2) la diffida stessa che ha portato l’INPS a porre in stand by, in dicembre 2014, le domande in attesa di pronuncia del Ministero del Lavoro;

3) la lotta in piazza con una presenza massiccia di donne.

Infine, se dovesse racchiudere l’esperienza vissuta in una singola frase, quali parole sceglierebbe?

Circoscrivere l’esperienza in una frase è praticamente impossibile, ci vorrebbe un libro. Alcune suggestioni sono rappresentate dai nostri slogan: hasta la victoria siempre, avanti tutta, opzione donna nessuna esclusa, insieme si può.