La Corte Costituzionale ha depositato nella giornata di ieri un'importante sentenza (la n. 23 del 2017), destinata ad avere effetti non trascurabili sulle pensioni ai superstiti. Il nodo del contendere riguarda l'applicazione del coefficiente di conversione in rendita corrispondente a 57 anni di età, il limite minimo in essere nel 1995. Il Tribunale di Udine ha infatti sollevato dubbi sulla costituzionalità della scelta sia in merito all'art 3 della Carta (per il c.d. principio di ragionevolezza) che per l'art 38 (riguardante il principio di adeguatezza).

Il problema risiedeva nel fatto che ad oggi l'età minima di pensionamento risulta più alta, fattore che va ad incidere fortemente sul parametro di conversione e quindi sull'importo dell'assegno erogato in favore dei superstiti. Sulla base della sentenza, non vi sarebbe invece incostituzionalità, visto che nel caso in cui si provvedesse ad aggiornare il dato con quello dell'attuale età minima per la vecchiaia, si andrebbe ad equiparare due situazioni diverse tra di loro, svantaggiando il lavoratore con maggiore contribuzione.

Pensioni ai superstiti indiretta e coefficiente di conversione: ecco perché l'età considerata per l'erogazione può fare la differenza

Stante quanto appena esposto, vediamo insieme per quale motivo risulta fondamentale l'età utilizzata per quantificare l'assegno in relazione alla quota della pensione indiretta ai superstiti.

Il sistema contributivo prevede infatti che l'assegno sia il frutto dell'applicazione dei c.d. coefficienti di conversione in rendita al montante, il quale a sua volta è composto dalla somma dei versamenti effettuati. Questi parametri di conversione crescono al crescere dell'età, pertanto l'assegno risulta tanto più alto quanto maggiori sono i contributi versati ed al contempo tanto più elevata risulta l'età su cui viene calcolata la futura pensione.

Ne consegue che anche pochi anni possono fare una differenza importante nell'importo del futuro assegno.

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