Una recente sentenza della Corte di cassazione ha introdotto un nuovo principio in merito ai permessi retribuiti dalla legge 104 che pone le basi verso il riconoscimento di maggiori tutele per i lavoratori che assistono un familiare disabile.

Secondo la pronuncia della Suprema Corte, il lavoratore se usufruisce dei permessi mensili previsti dalla legge 104 può organizzare l’assistenza secondo orari e modalità flessibili; una novità in controtendenza rispetto a quello che era l’orientamento fino ad ora manifestato dalla stessa Cassazione.

Sentenza della Cassazione sui permessi retribuiti della legge 104: le novità

La sentenza della Cassazione afferma che il lavoratore, pur non potendo gestire i permessi retribuiti come se fossero giorni di ferie, ha comunque il diritto ‘di ritagliarsi un breve spazio di tempo per provvedere ai propri bisogni ed esigenze personali’.

Questo vuol dire che rimane comunque perseguibile il lavoratore che utilizza in modo improprio i tre giorni di permesso mensili, fino al licenziamento e alla denuncia per truffa ai danni dello Stato, ma può utilizzare una parte della 24 ore per riposarsi o svolgere attività sociali che gli sarebbero altrimenti precluse se fosse costretto ad occuparsi del familiare disabile in modo continuativo.

Si tratta dell’affermazione di un principio, quello della discontinuità dell’assistenza, che segna un cambiamento rispetto a precedenti sentenze della stessa Corte di Cassazione che, solo un paio di anni fa aveva confermato il licenziamento di un lavoratore ‘sorpreso’ in discoteca dopo aver ‘messo a letto’ il familiare invalido.

Chi può usufruire dei permessi previsti dalla legge 104

Come è noto, la legge 104 del 5 febbraio 1992 afferma che ‘il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità’, con grado di parentela fino al secondo grado, ‘ha diritto a fruire di 3 giorni di permesso mensile retribuito’.

I permessi devono essere utilizzati per tutte le prestazioni di natura assistenziale necessaria alla persona portatrice di handicap, sia in casa che fuori, come, ad esempio, l’acquisto di generi alimentari o di medicine.

Secondo una interpretazione restrittiva della norma, non sarebbero quindi ammesse attività riconducibili alla sfera personale del lavoratore, ma la novità della recente sentenza della Cassazione, come detto, apre uno spiraglio, riconoscendo maggiori tutele al lavoratore.