I decreti attuativi che dovrebbero fare chiarezza su APE sociale, volontaria, quota 41, prestito bancario e così via, non sono stati ancora emanati. Erano previsti entro 60 giorni dalla entrata in vigore della Legge di Bilancio, cioè il 2 marzo. Il Governo ha tranquillizzato tutti circa i tempi di avvio delle novità previdenziali della Legge di Bilancio, che restano il 1° maggio, ma questo no basta. Dalla CGIL arrivano dichiarazioni che spingono a considerare in pericolo le misure tanto attese da molti cittadini.

Tutto a rischio?

Una controriforma della Legge Fornero, questo quello che serviva per mettere a posto il sistema previdenziale.

La nuova riforma previdenziale però resta un sogno, perché fin dagli albori del pacchetto Pensioni della manovra finanziaria, si era capito che il Governo non avrebbe potuto fare molto. La coperta troppo corta ed il solito problema delle coperture, hanno spinto il Governo ad emanare interventi minimi e soprattutto, pieni di paletti e vincoli. Un modo semplice per soddisfare chi chiedeva interventi, spendendo poco dal punto di vista dei soldi pubblici, presentando provvedimenti con una serie di requisiti che restringono di molto la platea dei possibili fruitori delle novità. Secondo Nicola Marongiu, responsabile del settore previdenza della CGIL, non sono state modificate le norme di ingresso nella previdenza e senza intervenire in maniera generale, tutto diventa complicato.

Inoltre, i decreti attuativi di APE e quota 41, stentano ad essere predisposti, e le criticità dell’APE volontaria per esempio, restano tutte. In primo luogo, l’obbligo di centrare 20 anni di contributi in una unica cassa previdenziale. Un fardello che esclude chi ha lavorato sotto diverse gestioni previdenziali e non potrà sfruttare il cumulo per raggiungere i 20 anni necessari per l’APE.

Inoltre, sempre per la versione volontaria, quella del prestito, proprio sull’indebitamento chiesto ai lavoratori nei confronti delle banche, le perplessità sono tante. Per la CGIL, l’APE è una misura che trova clienti alle banche, senza caricare su questi istituti di credito alcun rischio. Una volta terminato di percepire l’APE, ci sarà una trattenuta alla fonte dalla quale i pensionati non potranno sfuggire.

Nonostante il caricamento degli interessi non sia minimo rispetto ai prezzi di mercato, alle banche non viene caricato nessun rischio sul prestito erogato. Le banche, al posto di essere semplici finanziatori della misura o semplici intermediari, diventano il soggetto più potente dei tre interessati. Loro potranno scegliere anche di non erogare la pensione perché opereranno secondo il classico meccanismo della valutazione del credito, non erogandolo a soggetti considerati in categorie a rischio.

Usuranti ed edili le altre grane

Restando nell’area APE (ma anche quota 41 ai precoci), Marongiu torna a contestare il paletto dei 6 anni di continuità, anche se conferma come il Governo abbia manifestato l’intenzione di detonarlo inserendo una franchigia di 6 mesi.

In edilizia, i periodi di lavoro coincidono con quelli di apertura e chiusura dei cantieri. Gli operai del settore non hanno ingaggi in stile fabbrica, cioè lunghi per tutto l’anno. Ecco perché, chiedere di avere lavorato di continuo negli ultimi 6 anni prima di richiedere APE o quota 41 resta un vincolo insuperabile per molti lavoratori. Anche per gli usuranti, nonostante sia migliorata la situazione eliminando le finestre mobili, i requisiti di accesso diventano sempre più stringenti. Per non parlare delle salvaguardie esodati, che per l’ottava volta hanno costretto il Governo ad intervenire. In definitiva, per la CGIL , serve un intervento più radicale, alla base del sistema, cambiando le regole di accesso alla previdenza, senza interminabili interventi tampone.

Sempre che questi interventi partano davvero, perché anche per l’appuntamento del 13 marzo tra Governo e sindacati, la certezza sui decreti attuativi manca, e sarebbe clamoroso, dopo tutto il parlare che si è fatto.