Ape e Quota 41 si sono fatte attendere, perché da molti mesi il Governo doveva approntare i decreti attuativi delle due novità previdenziali. Dalla Legge di Stabilità in vigore dal 1° gennaio, i decreti erano attesi per inizio marzo, nei canonici 60 giorni dalla pubblicazione della manovra finanziaria. Emendamenti e proposte di correggere le misure, sono state molteplici ma nel testo dei decreti, almeno secondo l’anteprima, non risultano esserci modifiche sostanziali ed i punti più contestati delle misure, restano gli stessi. Le due misure prevedono entrambe, tra i loro possibili beneficiari, soggetti disoccupati e tutte e due, disoccupati della stessa specie.

L’insieme dei paletti che costituiscono le misure però, appaiono discriminatori per alcuni soggetti, perché non consentiranno a molti disoccupati, l’accesso alle due vie anticipate.

Gli anticipi per disoccupati

Sia Ape sociale che quota 41, pur essendo misure inserite in un contesto previdenziale, parlando di pensioni, hanno una forte componente assistenziale. Infatti, le misure di pensione anticipata, sia per precoci che per l’Ape sociale, resta appannaggio di soggetti disagiati lavorativi, come lo sono i lavori gravosi, disagiati di salute, come gli invalidi o quelli con invalidi a carico e disagiati reddituali, come lo sono i disoccupati. Proprio questi rappresentano la categoria forse più interessata dalle proposte di correttivi pervenute nei vari passaggi parlamentari e che non hanno trovato posto nei decreti.

Sia Ape social che quota 41 sono possibilità che saranno a vantaggio di disoccupati in determinate condizioni. Prima di tutto, per l’Ape, bisogna raggiungere i 63 anni di età ed almeno 30 anni di contributi versati. Per quota 41 invece, nessun vincolo anagrafico, ma dei 41 zanni di contributi da completare, serve che almeno uno di essi, deve essere stato versato prima di compiere i 19 anni di età.

I contributi necessari devono essere effettivi, perché a differenza di come funzionano le classiche forme pensionistiche oggi esistenti, cioè pensione di vecchiaia e anticipata, i contributi figurativi (maternità, militare, disoccupazione ecc.) non valgono per raggiungere le soglie richieste sia per l’Ape sociale che per quota 41.

Questo, a meno che in zona cesarini, non si riesca a detonare, quella che a tutti gli effetti sembra una evidente penalizzazione per i disoccupati.

Disoccupati particolari

Come dicevamo, le richieste dei sindacati, dei gruppi di lavoratori e di molti rappresentanti di tutti i gruppi politici, riguardavano un'estensione del perimetro di applicazione dell’Ape sociale destinata ai disoccupati. Richieste rispedite ai mittenti, con la promessa di riparlarne nella prossima Legge di Bilancio, a fine 2017. Ma perché viene chiesto di modificare parte del testo delle due misure in relazione ai beneficiari disoccupati? Perché alcuni paletti differenziano un disoccupato dall’altro, lasciando fuori dalle misure molti soggetti.

In primo luogo, tra i requisiti spunta la correlazione tra le due misure pensionistiche e gli ammortizzatori sociali per disoccupati. In pratica, un disoccupato, per poter accedere all’Ape o a quota 41, oltre che centrare requisiti contributivi e anagrafici, dovrà avere terminato da almeno 3 mesi di percepire la Naspi o qualche altro ammortizzatore sociale per la perdita di lavoro. Un paletto che taglia fuori automaticamente i disoccupati che, pur avendo perduto il lavoro, non avevano i requisiti per l’accesso alla Naspi. E poi, anche la tipologia di perdita del lavoro diventa fondamentale, perché non potranno richiedere la Naspi coloro che non sono stati licenziati, ma che hanno perduto il lavoro a seguito di scadenza del contratto.

Infine, anche se la disoccupazione agricola è tra quelle considerate buone per i 3 mesi di vuoto reddituale necessario, espone gli addetti al settore ad un rischio particolare, cioè quello di essere considerati diversi di fronte ad Ape e quota 41. La disoccupazione agricola si percepisce l’anno successivo a quello in cui si perde il lavoro. Per centrare i 3 mesi di assenza di ammortizzatori sociali, un dipendente in agricoltura, dovrà attendere l’anno successivo, nonostante abbia raggiunto 63 anni e 30 di contributi ( o 41 per i precoci) già quest’anno. Misure che per i lavoratori in agricoltura sono penalizzanti di un anno esatto rispetto alle altre categorie di lavoratori.