Il 22 maggio il Consiglio dei Ministri ha licenziato i decreti attuativi di Ape sociale e Quota 41. Per quanto concerne l’Ape volontaria invece, bisognerà attendere ancora un po’, probabilmente, per chiarire meglio gli interessi e le spese caricate sul prestito bancario che è parte integrante della novità previdenziale. Per le altre due misure invece, tutto appare pronto e con la loro pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, Ape social e quota 41 saranno attive. Il tutto con oltre 3 mesi di ritardo rispetto ai tempi tecnici previsti. Infatti, il tutto doveva essere pronto per febbraio, cioè a 60 giorni dall’entrata in vigore della Legge di Bilancio, che è il contenitore dove le due misure erano inserite.

Un ritardo che aveva illuso perchè sembrava che fosse dovuto alla volontà del Governo di recepire le istanze dei sindacati e dei cittadini, che chiedevano un allargamento delle misure, che, in pratica restano così come erano state approntate, cioè molto ristrette come perimetro di applicazione.

Pensioni, i delusi

L’Ape sociale è erogata a partire dai 63 anni a disoccupati, invalidi o a lavoratori alle prese con attività logoranti. Per disoccupati ed invalidi, il tetto della contribuzione da raggiungere è 30 anni, mentre per i lavori gravosi si deve arrivare a 36 anni. Per le stesse categorie di soggetti, ma che hanno già raggiunto i 41 anni di contributi, di cui uno prima dei 19 anni di età, c’è quota 41, misura distaccata da limiti anagrafici.

Il doppio requisito, anagrafico-contributivo, non basta da solo per centrare le due vie di uscita dal lavoro. Già sui contributi versati ci sono limitazioni che restringono la platea di beneficiari. Infatti, sia che si abbiano i 36 anni di contributi necessari per l’Ape social, oppure i 41 per la relativa quota, bisogna che negli ultimi 7 anni, ne siano stati versati almeno 6.

Penalizzati gli edili e gli agricoli

Un paletto che esclude molti lavoratori, tra i quali gli edili, che pur rientrando tra le 11 categorie di lavori gravosi, saranno esclusi dalle misure. Un lavoro, quello in edilizia, che nasce con l’apertura di un cantiere e muore con la chiusura dello stesso. Una attività troppo legata alle condizioni climatiche che, in inverno sono avverse e che rappresenteranno un ostacolo anche per i lavoratori in agricoltura.

Ecco perché sarà difficile per molti, centrare i 6 anni di assunzione necessari, costretti come sono a ricorrere spesso, nel corso di un anno, a Cassa Integrazione, Naspi e sussidi per disoccupati. In aggiunta a questo c’è anche il fattore che i contributi utili a centrare le soglie, per entrambe le misure, devono essere effettivi, cioè senza i cosiddetti figurativi, come lo sono le maternità o il militare, tra gli altri.

Pensioni, la Cgil alla carica

Due misure, queste di cui parliamo, dallo spiccato timbro assistenziale piuttosto che previdenziale. Misure che si rivolgono a soggetti disagiati come salute, reddito o lavoro, ma che non sono fruibili da tutti. Per i disoccupati per esempio, bisogna essere stati licenziati, anche a seguito di licenziamenti collettivi e procedure concorsuali, ma sempre per licenziamento.

In pratica, verrebbero esclusi i lavoratori che fuoriescono da contratti a termine, oggi molto frequenti. Sempre per i disoccupati, per accedere ad Ape social e quota 41, bisogna aver terminato di percepire la Naspi da almeno 3 mesi. Un ennesimo paletto che esclude soggetti che non avevano i requisiti per la Naspi. Proprio per allargare il campo anche a loro, la Cgil, nel commentare l’uscita dei decreti con una nota, ha sottolineato come ci sia ancora spazio per intervenire dal punto di vista normativo per eliminare queste incongruenze.

L'anomalia dei lavoratori autonomi

Senza contare l’anomalia dei lavoratori autonomi che hanno cessato l’attività e che non sono stati inseriti in nessuna delle misure previste, come ricorda la Uil.

Per quanto concerne i lavoratori in agricoltura, infine, oltre alla probabile penalizzazione che subiranno dal paletto della continuità lavorativa dei 6 anni, c’è quello del collegamento delle misure con il sussidio di disoccupazione, che ripetiamo, deve essere stato completato come incasso, da almeno 3 mesi. La disoccupazione agricola, viene percepita l’anno successivo a quello in cui si materializza il licenziamento, con le domande che devono essere presentate entro il 31 marzo dell’anno successivo a quando si perde il lavoro. Un soggetto di 63 anni, lavoratore in agricoltura, per vedere centrato il requisito dei 3 mesi dall’ultimo assegno per disoccupati, dovrà attendere l’anno prossimo, perché sarà a giugno 2018 che percepirà la disoccupazione agricola spettante per il lavoro da cui è stato licenziato nel 2017.