Possiamo benissimo dire che la storia non rappresenta una novità perché negli ultimi anni sono numerosi i casi di contestazioni e battaglie contro le interpretazioni che l’Inps dà alle norme previdenziali che fuoriescono dal Parlamento. Stavolta, sotto accusa potrebbe finire anche una interpretazione personale dell’Inps per quanto concerne alcuni contributi utili o meno a centrare l’Ape sociale. Si tratta dei contributi per lavoro all’estero, che sembra che l’Istituto non intenda considerare come utili a raggiungere i requisiti necessari per l’anticipo pensionistico agevolato.

Il salvacondotto

Nella memoria di molti addetti ai lavori e molti lavoratori c’è il salvacondotto o deroga Fornero che dir si voglia, cioè la pensione a 64 anni prevista proprio dalla Legge Fornero. Si tratta di una misura lasciata in vigore proprio dal Ministro Fornero che consentirebbe a lavoratori che hanno particolari requisiti centrati prima dell’avvento della riforma di lasciare il lavoro con le vecchie regole e senza subire i pesanti inasprimenti delle nuove. L’argomento deroga Fornero è tornato in auge per via di una proposta correttiva dell’Onorevole Gnecchi che mirava a correggere alcuni punti del salvacondotto ed a fugare molti dubbi interpretativi da parte dell’Inps. La deroga consente di lasciare il lavoro a 64 anni, se entro il 31 dicembre 2012 si era centrata la quota 97,6.

In pratica, al 31 dicembre 2012, con 60 anni di età e 36 di contributi (valgono le frazioni di anno sia per il requisito anagrafico che contributivo), oppure 61 anni di età e 35 di contributi, con l’aver raggiunto la contestuale quota 97,6, si potrebbe lasciare il lavoro oggi a 64 anni. Per l’Inps bisognava essere al lavoro, quindi sotto contratto al 28 dicembre 2011.

Un paletto o, meglio, una erronea interpretazione dell’Inps, che è stato cancellato da parte del Governo con l’ultima Legge di Bilancio. Adesso la Gnecchi, nel suo DDL che presto sarà discusso in Parlamento, spinge affinché vengano considerati utili anche i contributi figurativi, cosa che l’Inps, con una sua ennesima e personale interpretazione, non considera utili al fine di raggiungere i 35 o 36 anni di contributi necessari.

Come si vede, l’interpretazione dell’istituto di Previdenza, spesso è soggetta a contestazioni più o meno ufficiali.

L’Ape ed i contributi esteri

La circolare con la quale l’Inps ha ufficialmente fatto partire l’Ape sociale, la numero 100 del 16 giugno, sottolinea come per raggiungere i contributi necessari per l’Ape sociale non possono essere uniti contributi italiani ed esteri. Una interpretazione restrittiva delle norme che mal si sposa con un’altra novità previdenziale di quest’anno, il cumulo gratuito. Per quest’ultimo, sempre l’Inps conferma come i contributi esteri siano perfettamente cumulabili come fossero stati versati in Italia. Due pesi e due misure che trovano conferma anche se si va a guardare le due grandi sfere previdenziali oggi vigenti, cioè la pensione di vecchiaia e quella di anzianità, o anticipata come si chiama oggi.

Infatti per le due Pensioni, sia che si debba raggiungere i 20 anni di versamenti per la pensione di vecchiaia, che i 42 e 10 mesi utili a quella anticipata, i contributi esteri sono utilizzabili. Adesso, per l’Ape sociale, che è una pensione destinata a soggetti disagiati, per centrare i 30 anni necessari come disoccupati o invalidi, oppure i 36 come lavoratori alle prese con mansioni gravose, sembra che i contributi esteri non siano buoni. Sembra una interpretazione utile solo a ridurre la platea di aventi diritto alla nuova misura. Si attendono sicuramente prese di posizione da parte dei sindacati circa questo aspetto o l’ennesima battaglia parlamentare su misure che spesso, o per volontà del Governo o per interpretazioni dell’Inps, finiscono per creare disparità tra gli stessi lavoratori.