Sembra di essere tornati indietro a fine 2016, quando in prossimità della Legge di Bilancio dello scorso ottobre, il tema previdenziale divenne quello più dibattuto a tutti i livelli. L’ultima manovra finanziaria ha proiettato nel sistema previdenziale due grosse novità, la pensione a 41 anni di contributi per i precoci e l’Anticipo Pensionistico sia volontario che agevolato. Quota 41 e APE sono ormai realtà, seppur misure sperimentali da parte del Governo. Adesso, i continui incontri tra sindacati e Governo (ad ottobre dovrebbero essere calendarizzati i prossimi), si prefiggono l’obbiettivo di correggere ancora la previdenza italiana, la cui ultima riforma che può essere considerata tale è quella Fornero.

Si lavora per una nuova riforma dunque che però, dopo i dati economici del DEF appena licenziati dal Consiglio dei Ministri, appare di difficile attuazione, tanto da far scattare l’allarme dei sindacati.

Il punto della situazione

Pochi giorni fa i sindacati si sono presi la briga di scrivere un documento unitario con una serie di richieste in tema previdenziale al Governo. Richieste che la UIL per esempio, ha inserito in una raccolta firme in rete allo scopo di presentare una proposta di Legge Popolare al Parlamento. Il sistema previdenziale è vessato dalle norme inserite dalla Riforma Fornero che lo rendono tra i più duri d’Europa in quanto a requisiti di accesso alle Pensioni. Norme che furono emanate in un periodo di grave crisi economica che oggi, come dimostrano i numeri sull’aumento del PIL sembrano superati.

Gli effetti di quella riforma si avranno anche nei prossimi anni, a partire dal 2018 quando anche le donne dovranno arrivare a 66 anni e 7 mesi di età per la pensione di vecchiaia (perdendo l’anno di sconto valido fino al 2017). Per di più, se davvero un decreto del CDM confermerà l’applicazione del meccanismo dell’aspettativa di vita per il 2019, le pensioni di vecchiaia saliranno per tutti a 67 anni compiuti.

Proprio questo è uno degli argomenti più caldi che i sindacati hanno preso a cavallo di battaglia. Le proposte di bloccare o correggere questo meccanismo sono quotidiane. Per la UIL, far salire di nuovo l'età per l’accesso alle pensioni è assurdo, con l’Italia che già oggi risulta essere uno dei paesi con i requisiti più penalizzanti per la Quiescenza.

Nel resto d’Europa per esempio, le donne vanno in pensione mediamente a 63 anni mentre la pensione a 67, in Germania diventerà realtà solo nel 2030. Durante un incontro con presenti CGIL, CISL e UIL, tenutosi a Bologna ieri 25 settembre, l’argomento è tornato prepotentemente di attualità. La UIL con il rappresentante della Segreteria Confederale Domenico Proietti ha posto seri dubbi sull’operato degli ultimi Governi. L’operazione di cassa fatta sulle pensioni degli ultimi anni, secondo i dati della UIL, hanno portato risparmi notevoli per le casse dello Stato. Un esempio è la minore spesa avuta rispetto alle previsioni per le salvaguardie esodati. Ci sarebbero 5 miliardi che anziché finire al capitolo previdenza, sono stati destinati a tamponare la falla del debito pubblico.

La UIL chiede che questi soldi vengano destinati al loro naturale scopo, le pensioni.

Misure attive

Poco o nulla si potrà fare nella manovra d’autunno, questo appare chiaro e secondo i sindacati (la Camusso e la sua CGIL sono già sul piede di guerra) la via della protesta è molto vicina. Saranno disattese le aspettative di quanti chiedevano novità nella Legge di Stabilità che per fine ottobre il Governo presenterà. Non resta che vedere se si può andare in pensione con quota 41 o Ape sociale. Due misure che sono particolari, piene di vincoli e limitazioni da renderle davvero fruibili per pochi. A partire dai contributi necessari per il loro accesso. Tutte e due le vie sono appannaggio di disoccupati, invalidi o alle prese con invalidi a carico e lavori gravosi.

Per i precoci sono necessari 41 anni di contributi versati dei quali uno prima dei 19 anni di età. Per l’Ape sociale invece, 30 anni per disoccupati invalidi e caregivers mentre 36 per i lavori logoranti. L’anno prima dei 19 per quota 41 deve essere di contributi effettivi da lavoro, senza i figurativi o da riscatto che diventano buoni per i restanti 40. Resta sempre il vincolo che di questi 41, ben 35 devono essere effettivi da lavoro, con possibilità di utilizzare il cumulo per chi ha carriere discontinue tra varie casse previdenziali. I disoccupati devono avere terminato di percepire la Naspi da 3 mesi e devono essere stati licenziati. Esclusi quindi coloro che non avevano i requisiti per la Naspi o chi ha perso il lavoro per fine contratto. Le invalidità necessarie devono essere almeno del 74%. Per i lavori gravosi invece, tali attività devono essere state svolte in 6 degli ultimi 7 anni di lavoro.