La pensione di vecchiaia è una misura strutturale del panorama previdenziale italiano. Una misura che è stata ritoccata dalla Fornero, come sempre a discapito dei lavoratori. Fino al 31 dicembre 2017, i lavoratori uomini possono lasciare il lavoro una volta raggiunta l’età di 66 anni e 7 mesi e contemporaneamente i 20 anni di contribuzione versata. Per le donne invece un anno in meno come età da raggiungere, cioè 65 anni e 7 mesi. Dal 2018 invece, per gli uomini resta tutto inalterato, mentre iniziano i problemi con quanto previsto dalla Fornero per le donne.

Problemi poi che per l’aspettativa di vita avranno tutti nel 2018. Ecco perché c’è tanta attesa rispetto alle misure di cui si parla nei tavoli delle trattative tra Governo e sindacati, che hanno avuto l’ultima puntata ieri 13 settembre al Ministero del Lavoro. Un articolo recente del quotidiano “il Corriere della Sera” nella sua edizione digitale è eloquente circa gli scenari per le Pensioni al femminile per i prossimi anni.

Un terremoto annunciato

Che Bruxelles spinga per l’equiparazione di genere per le pensioni, cioè che uomini e donne vadano in pensione con i medesimi requisiti, è cosa risaputa. Il Governo però sembra intenzionato ad operare diversamente in proiezione della prossima Legge di Bilancio, concedendo sconti alle donne che hanno avuto figli in quanto a contributi necessari per l’Ape sociale.

Ma l’anticipo agevolato riguarda soggetti invalidi, con invalidi a carico, disoccupati o alle prese con lavori gravosi. Per le lavoratrici, per così dire, non disagiate, tutto resta come previsto, con il 2018 ed il 2019 che segneranno profondi inasprimenti per loro. Dal 2018 come dicevamo anche le donne andranno in pensione a 66 anni e 7 mesi come previsto dalla Fornero e senza che sia necessario alcun decreto per rendere ufficiale il cambiamento.

Tutto automatizzato quindi, non come per il meccanismo dell’aspettativa di vita che dovrà essere confermato tramite decreto. La stima di vita, sempre come previsto già dai tempi della Fornero, farà subire uno scatto di 5 mesi per tutti i requisiti di acceso alle pensioni. Questo a partire dal 1° gennaio 2019, quando tutti andranno in pensione all’età di 67 anni compiuti.

A meno che non si intervenga a correggere questo scatto relativo alla vita media degli italiani come stimata dall’Istat. Una correzione che oggi appare improbabile, perché la ragioneria di Stato e l’Inps hanno definito l’aspettativa di vita come un fattore necessario per la stabilità del sistema pensionistico. Difficilmente si congelerà questo scatto anche perché proprio ieri sera, Poletti , parlando di risorse da trovare, ha definito stretto il sentiero in cui muoversi per ritoccare la previdenza.

In pensione nel 2020 per chi ci poteva andare nel 2018

Le due situazioni di cui trattavamo sopra, cioè parità di età pensionabile e aspettativa di vita, per molte lavoratrici diventeranno un problema epocale.

In un colpo solo perderanno due anni di pensione, dovendo restare al lavoro per lo stesso tempo. L’esempio delle nate tra il 1952 ed il 1953 è eloquente e richiama alla mente quanto subirono gli esodati per via della Riforma Fornero. Una donna lavoratrice nata nel mese di giugno 1952, con le regole attuali sarebbe dovuta andare in pensione a gennaio 2018, cioè a 65 anni e 7 mesi. Nel 2018 però si sale di un anno, ad altezza uomini, e pertanto la stessa donna andrebbe in pensione a gennaio 2019, quando però entrerà in scena lo scatto per l’aspettativa di vita e la sua pensione a 67 anni. in pratica, se tutto va bene la donna dell’esempio, che dal prossimo 1° gennaio sarebbe dovuta andare in quiescenza, ci andrà a luglio 2019, 17 mesi in più di quanto previsto. Per molte, quelle nate nel 1953, il traguardo sarà raggiungibile solo nel 2020.