Adesso sembra che tutto sia stato rimandato ad ottobre, quando verranno messi in agenda nuovi incontri tra Governo e sindacati per trattare la riforma previdenziale che dovrebbe fare capolino nella prossima Legge di Stabilità. Abbiamo detto dovrebbe perché in materia pensioni, usare il termine ipotesi non è esercizio azzardato. Il sistema va riformato, questo lo sanno tutti, ma il Governo, come ribadito da Poletti a margine dell’ultimo incontro del 13 settembre, quando parlò di sentiero stretto per l’Esecutivo, sembra avere le mani legate. I rigidi parametri imposti da Bruxelles in materia di conti pubblici e le altre esigenze del Paese, prima tra tutte l’occupazione, riducono i fondi disponibili da destinare al capitolo previdenziale.

Nonostante gli interventi nell’ultima Stabilità, cioè Ape e Quota 41, l’ultima vera riforma previdenziale che si può definire tale è stata quella Fornero e sarà proprio questa riforma a sortire effetti importanti per il prossimo biennio.

Pensione di vecchiaia

Nel 2018 la pensione di vecchiaia non avrà più distinzioni di età tra uomini e donne. La pensione di vecchiaia, misura strutturale dell’Inps, si centra a 66 anni e 7 mesi con 20 anni di contributi versati. Nel 2018 nulla cambierà in termini di requisiti da centrare per gli uomini, ma non succederà la stessa cosa per le donne. Infatti, fino al 31 dicembre 2017, le donne godranno di un anno di anticipo come età anagrafica rispetto ai colleghi maschi, uscendo a 65 anni e 7 mesi.

Dal 1° gennaio 2018, anche le donne dovranno raggiungere i 66 anni e 7 mesi previsti per i maschi. E per quelle che per qualche giorno sforeranno nel 2018 come requisiti, conti alla mano significa posticipare la pensione di un anno esatto. Dal 2019 invece, usando il meccanismo dell’aspettativa di vita che fissa i requisiti di accesso alle pensioni alla vita media stimata dall’Istat, per tutti la pensione di vecchiaia con 20 anni di contributi si centrerà a 67 anni.

Pensione anticipata

Un discorso analogo va fatto per la vecchia pensione di anzianità, quella che la Fornero ha ribattezzato pensione anticipata.

Questa pensione si centra senza tener conto dell’età anagrafica ma solo dei contributi versati. Per sfruttare la pensione anticipata fino a fine 2018 gli uomini devono raggiungere 42 anni e 10 mesi di contribuzione a qualsiasi titolo versata (anche figurativi) mentre le donne un anno in meno. L’ipotesi aspettativa di vita, che dovrebbe essere applicata solo dopo un decreto del Consiglio dei Ministri che recepirà le nuove stime Istat, potrebbe spostare in avanti anche i contributi necessari per la pensione anticipata.

SI arriverebbe nel 2019 a dover dimostrare di avere 43 anni e 3 mesi di carriera contributiva per lasciare il lavoro anticipatamente. L’anno in meno richiesto alle donne dovrebbe restare in vigore anche nel 2019, perché l’equiparazione tra uomini e donne in termine di requisiti per le pensioni, dovrebbe riguardare solo l’età e non la contribuzione.

Le altre strade per la quiescenza

Uno scenario terribile quello che si prospetta a partire dal 2019, con l’ennesimo inasprimento dei requisiti di accesso alle pensioni, ecco perché il Governo continua a cercare soluzioni a tamponare qualche falla. Un lavoro iniziato nel 2017, con Ape sociale, ape volontaria e quota 41 che consentono anche se in maniera particolare, di evitare le rigide soglie imposte dalla Fornero.

L’Ape sociale e quota 41 sono misure per così dire gemelle. Entrambe destinate a soggetti disagiati come lo sono i disoccupati, gli invalidi, i caregivers e i lavoratori in attività logoranti. L’Ape sociale si centra con almeno 63 anni di età e con 30 anni di contributi per invalidi e disoccupati, mentre con 36 anni di versamenti per i lavori gravosi. Quota 41 invece prescinde dall’età e dimostrando di aver iniziato al lavorare prima dei 19 anni di età, si può uscire con 41 anni di contributi versati. L’Ape volontaria invece è per tutti i lavoratori, con almeno 63 anni di età e 20 di versamenti contributivi. La pensione però è prestata da una banca alla quale i soldi andranno restituiti una volta raggiunta l’età per la vera pensione di vecchiaia.

Le differenze di genere che impatteranno le soglie anagrafiche, ma non quelle contributive, dal 2019, sono oggetto di un approfondito studio negli incontri tra parti sociali ed Esecutivo. Si cercano soluzioni per consentire alle donne di lasciare il lavoro prima perché spesso, sono costrette a sacrificare lavoro e carriera per la cura della famiglia o per partorire i figli. Probabile che si arrivi al compromesso di anticipare di qualche anno la pensione con l’Ape sociale alle donne rispetto agli uomini, ma sono soluzioni ancora in fase embrionale.