Tra sentieri stretti, risorse scarse e vincoli della Comunità Europea, una cosa certa è che muoversi per riformare le pensioni resta un problema per il Governo. I ripetuti summit tra Esecutivo e sindacati, le ripetute proposte delle parti sociali, nonché la necessità di dare una svolta al troppo rigido e penalizzante sistema italiano, produrranno certamente un nuovo pacchetto pensioni nella Legge di Bilancio. Ma cosa cambierà ad oggi ipotizzando tutte le misure su cui il Governo lavora davvero e che sono state anticipate anche dal ministro Poletti dopo l’incontro del 13 settembre?

Due o tre anni di sconto per le donne

Sul tema lavori di cura e donne da mandare in pensione prima, le voci sono incessanti. Una cosa certa è l’intervento che ci dovrebbe essere nella manovra finanziaria. Le donne potrebbero lasciare il lavoro prima degli uomini, ma solo per l’Ape sociale. Sarà su quella misura che il Governo concederà mesi di abbuono rispetto ai contributi da raggiungere per l'accesso. Non uno sconto strutturale su tutte le misure previdenziali esistenti, come la pensione di vecchiaia o quella che una volta si chiamava di anzianità. Per queste si va verso l’equiparazione di genere, come per esempio la pensione di vecchiaia con requisito a 66 anni e 7 mesi (dal 2019 forse a 67 anni) che dal 2018 sarà valido anche per le donne (addio all’anno in meno per le lavoratrici).

SI tratta di valutare come mettere in campo l’idea, se prevedere 6 mesi o un anno di sconto per ogni figlio avuto dalle lavoratrici. Se arrivare a massimo 2 anni per 4 o più figli, per lo sconto di 6 mesi, oppure a 3 anni per 3 o più figli con lo sconto di un anno. Resta confermata quindi l’agevolazione ma solo per la pensione in Ape sociale per disoccupati ed invalidi (anche soggetti con invalidi a carico) che oggi anche le donne centrerebbero con 30 anni di contributi o 36 per chi svolge mansioni gravose.

Opzione donna

Sempre sullo stesso tema, che poi è quello che ha originato la misura, si parla di estendere e prolungare opzione donna. Si tratta della pensione contributiva anticipata per le lavoratrici con 57 anni e 7 mesi di età e con 35 di contributi. Una misura altamente penalizzante, con l’anticipo tutto a carico delle donne che scelgono di farsi calcolare la pensione con il metodo contributivo rimettendoci anche il 30% di importo dell’assegno.

Va ricordato anche che per opzione donna vale il sistema finestre mobili che porta la decorrenza delle pensioni a 12 mesi (18 per le lavoratrici autonome) di distanza dal raggiungimento dei requisiti. Si parla di estensione perché la misura è ancora sperimentale, con la scadenza prevista per fine 2017. In pratica, oggi possono accedere alla misura le lavoratrici che hanno centrato 57 anni e 7 mesi di età al 31 luglio 2016 e 35 anni di contributi accreditati al 31 dicembre 2015.

Giovani e pensioni di vecchiaia

Interventi previsti anche per gli importi delle pensioni. I giovani che oggi non riescono a trovare lavori in pianta stabile e che quindi non riescono ad accumulare contributi, in un sistema previdenziale che adotta il calcolo contributivo quando si tratta di liquidare le pensioni sono e saranno penalizzati.

L’idea è di fissare un limite minimo alle pensioni erogate, la pensione di garanzia di cui si parla tanto. Si arriverebbe ad erogare minimo 650 euro al mese con 20 anni di contributi versati. Ogni anno in più di contribuzione sarebbe ripagato con 30 euro in più di assegno. Il meccanismo dovrebbe consentire di cumulare la pensione spettante in base ai contributi con l’assegno sociale, che interverrebbe a concorrere all’assegno per chi non ci arriva con i propri contributi. Proprio l’assegno sociale è l’altra scappatoia ad un problema che molti non conoscono e cioè il limite di importo della pensione che a volte non da diritto alla pensione di vecchiaia. Questa può essere percepita solo se di importo superiore a 672 euro al mese.

In pratica, anche avendo 66 anni e 7 mesi di età e 20 di contributi, cioè i requisiti per l’accesso alla quiescenza di vecchiaia, se l’importo calcolato con il sistema contributivo non è superiore ad 1,5 volte il minimo, non si ha diritto alla pensione. In questo caso resta da richiedere l’assegno sociale, che però è di solo 448 euro al mese, mentre per la propria pensione di vecchiaia bisognerà attendere 70 anni e 7 mesi. L’idea è di eliminare il limite o abbassarlo ad 1,2 volte il minimo, cioè a 538 euro al mese. Lo stesso discorso vale per la pensione anticipata contributiva che si centra a 63 anni e 7 mesi con solo 20 di contributi. In questo caso possono accedervi solo coloro che otterrebbero un assegno pensionistico pari o superiore a 1.254,60 euro (2,8 volte l’assegno sociale). Si pensa di scendere a importi pari a 900 euro circa, più o meno due volte il trattamento minimo.