Oggi 16 ottobre presso il Ministero del Lavoro nuovo incontro tra Governo e sindacati in materia previdenziale. Argomento come al solito l’ipotetica riforma delle Pensioni ed il prosieguo dei lavori sulla fase 2. Parlare di ipotesi in materia previdenziale è obbligatorio perché tra casse dello Stato in rosso e continui sacrifici chiesti ai pensionati per risanare debito pubblico e problemi vari, riformare il sistema previdenziale non è affatto facile. Che si riesca o meno ad inserire interventi correttivi dell’ultima riforma Fornero nella prossima Legge di Bilancio oggi è in secondo piano, perché anche le misure di quella che venne definita riforma dell’Ape dell’ultima manovra finanziaria non sono del tutto completate.

Ecco perché immaginare correttivi per il 2018, quando anche le novità prodotte nel 2017 non sono state certo un successo, appare quantomeno azzardato. Senza considerare che anche i ragionieri del Governo, l’Inps e la Corte dei Conti spingono per congelare qualsiasi ipotesi di intervento sulla previdenza.

Ape sociale graduatoria inutile

Il 15 ottobre erano attese le graduatorie circa gli aventi diritto all’Ape sociale o quota 41. Due misure per individui disagiati la cui portata delle domande pervenute all’Inps sono state fuori budget. In pratica, nella vecchia manovra di Stabilità furono stanziati soldi che oggi non bastano proprio perché le istanze dei lavoratori sono state più numerose di quelle previste.

Si parla di oltre 66mila domande rispetto alle 60mila circa finanziate nella scorsa manovra. Per questo motivo si era deciso di prevedere un meccanismo particolare per concedere queste pensioni anticipate a quanti hanno prodotto richiesta. Un meccanismo a graduatoria, in modo tale da riuscire a concedere le pensioni a soggetti più bisognosi redditualmente o più vicini ai 66 anni e 7 mesi previsti per la pensione di vecchiaia.

Un meccanismo fino ad esaurimento risorse o con ammessi non finanziabili tipici di una prestazione assistenziale come lo sono Ape sociale e quota 41. Un problema quello dei fondi disponibili e delle domande in extra numero che oggi appare superato. Infatti sembra che dall’Inps oltre il 50% delle domande verranno respinte. Il motivo è per la troppa rigidità o ristrettezza dell’Istituto nel valutare i requisiti dei richiedenti.

Correttivi

Il Ministero del Lavoro visti i primi numeri ha già comunicato all’Inps di adottare criteri di interpretazione meno fiscali in materia. Dalle indiscrezioni circa le modalità con cui l’Inps sta respingendo le istanze sembra che l’Istituto operi applicando troppo letteralmente le imposizioni normative delle misure. Per esempio, un disoccupato che ha terminato come richiesto, di percepire la Naspi da 3 mesi, non venga considerato come soggetto ammesso all’Ape sociale se ha anche una sola giornata lavorativa pagata con i voucher. In pratica per l’Inps viene meno il requisito dei 3 mesi di assenza di reddito utile affinché un disoccupato possa rientrare nell’Ape sociale.

Una anomalia che l’Inps applica ma che proviene dal decreto attuativo che mirava a filtrare le domande per evitare una spesa eccessiva per le casse Statali.

Adesso che visti gli esiti delle istanze, il Governo sembra avere più margine di manovra in base ai soldi stanziati, si cercano correttivi in corsa che appaiono quanto meno approssimativi. Come approssimativo è tutto l’apparato dell’altra grande novità previdenziale del 2017, l’Ape volontario. La pensione sotto forma di finanziamento bancario, con l’ingresso in scena per la prima volta di soggetti terzi nel sistema previdenziale, che ancora deve partire. Parliamo della pensione di 12 mensilità, non reversibile né tantomeno rivalutabile che verrebbe pagata dall’Inps con i soldi delle banche e con la copertura delle compagnie di assicurazione. I

l decreto attuativo dell’Ape volontario era previsto per maggio, così come la decorrenza delle pensioni.

Nulla di questo è ancora stato fatto ed in questo caso, i conti pubblici centrano poco. Infatti, la struttura di questa Ape è fatta in modo tale che tutti i costi ricadano sui pensionati che avranno l’onere di restituire il prestito quando arriveranno a percepire la loro pensione di vecchiaia. Un vero debito maturato dai pensionandi, con rate mensili in un piano di ammortamento ventennale, con interessi e spese assicurative. Probabilmente è proprio la portata degli interessi bancari e delle spese per la copertura della premorienza dei beneficiari, con le convenzioni da fare con ABI ed ANIA il motivo di questo rinvio. Una misura che doveva consentire a quanti avevano almeno 63 anni di età e 20 anni di contributi di lasciare il lavoro già nel 2017 e che probabilmente dovranno attendere l’anno venturo.