Uno degli argomenti più dibattuti delle ultime settimane è sicuramente il paventato rischio di portare le Pensioni di vecchiaia a 67 anni nel 2019. Un aumento di 5 mesi previsto da tempo e relativo all’aumento della vita media degli italiani che continua a spingere in avanti i requisiti per le pensioni. L’aumento delle soglie di accesso per l’applicazione del meccanismo dell’aspettativa di vita prevede che dal 2019 l’età anagrafica per la pensione di vecchiaia salga da 66 anni e 7 mesi a 67 anni tondi. Lo stesso meccanismo dovrebbe essere applicato alle pensioni anticipate (le ex pensioni di anzianità) che salirebbero a 43 anni e 3 mesi di contribuzione necessaria.

Il Ministero dell’Economia sembrava pronto a varare il decreto che avrebbe reso effettivi questi aumenti. Dopo i ripetuti no a quanti chiedevano di bloccare o correggere questo meccanismo, adesso sembra che anche l’Esecutivo stia pensando bene di fermare il tutto.

Tra favorevoli e contrari

Sicuramente, il provvedimento di cui trattiamo, da punto di vista sociale non può essere considerato equo. Costringere molte persone a restare al lavoro ancora più tempo è evidente che sortisca effetti previdenziali e di lavoro negativi. Il ricambio generazionale, i giovani senza lavoro ed i lavori troppo pesanti per essere svolti a tarda età sono temi che l’aumento previsto fin dal Governo Monti e dalla riforma Fornero, non risolvono affatto, anzi peggiorano.

Un edile costretto a lavorare a 67 anni sui cantieri appare un orrore normativo. Tra l’altro, la disoccupazione dovrebbe spingere i Governi ad attuare misure che mandino a casa i lavoratori anziani, per sostituirli con i giovani che oggi sono disoccupati. I sindacati sono sempre sul piede di guerra e tra proposte, petizioni e manifestazioni, il blocco dell’aumento per l’aspettativa di vita resta argomento principale delle loro battaglie.

Più giorni passano e maggiori sono i favorevoli all’idea delle parti sociali che chiedono il blocco del meccanismo. Come riporta l’edizione odierna del quotidiano “Il Giornale”, anche due illustri ex Ministri della Repubblica come Sacconi e Damiano, provenienti rispettivamente dagli ultimi Governi Berlusconi e Prodi hanno speso parole positive in questo senso.

I due contestano l’aumento previsto a 67 anni, anche se concordi nel definire il meccanismo un principio giusto. Ragioneria di Stato, Inps, Corte dei Conti e Banca d’Italia invece sono tra i favorevoli alla misura. Naturalmente le motivazioni del si agli aumenti non possono essere sociali, ma riguardano i conti pubblici e la sostenibilità del sistema pensionistico. In pratica, un aumento che portando risparmi alle casse dello Stato, rappresenterebbe l’ennesimo sacrificio chiesto agli italiani sull’altare del debito pubblico.

Tutto slitta al futuro Governo

Una prassi comune di tutti i Governi italiani che si sono susseguiti negli ultimi anni è sicuramente lo spostare i problemi agli anni successivi.

Quando non si hanno risorse per superare i problemi che andrebbero risolti nelle manovre finanziarie di fine anno, si adottano provvedimenti che rimandano le misure all’anno successivo. Si farà lo stesso per l’aspettativa di vita perché nelle ultime ore va registrata l’apertura del Governo a bloccare il meccanismo. Le motivazioni sono varie e sono sociali, tecniche ed anche politiche. Dal punto di vista sociale abbiamo detto prima, con il grave danno che subirebbero persone che in Italia, quando si tratta di andare in pensione, devono fare i conti con soglie e requisiti tra i più alti d’Europa. Tecnicamente poi, il meccanismo appare poco giustificabile perché si usa collegarlo ai dati Istat della vita media degli italiani e non solo ad esigenze di cassa.

Da quando i dati della vita media di un italiano vengono resi pubblici e rilevati dall’Istat, per la prima volta, per il 2015 la tendenza è in diminuzione. Ciò significa che appare illogico legare l’aumento delle pensioni a 67 anni solo a questo meccanismo. Il Governo quindi sta decidendo di bloccare il decreto che sarebbe dovuto uscire a settembre e spostarlo all’anno nuovo. La motivazione dell’Esecutivo però non dovrebbe essere quella relativa ai problemi sociali e tecnici della misura, perché non è l’attendere le nuove rilevazioni Istat sulla stima di vita l’incentivo a questa decisione. Ci sono le motivazioni politiche, perché gioco forza, il decreto sarebbe l’ennesimo atto impopolare di un Governo che sta per chiudere i battenti e che cerca consensi per le ormai prossime elezioni. Come successo con lo ius soli, un provvedimento poco popolare condizionerebbe il gradimento del popolo verso il Governo che i sondaggi danno già ai minimi storici.