Riforma previdenziale sempre più complicata e più difficile da mettere a punto. Più giorni passano, sempre meno sono le possibilità che nella prossima Legge di Bilancio ci siano interventi sulla previdenza sociale italiana che continua ad essere basata sull’ultima vera riforma che si ricordi, quella Fornero, un insieme di norme e leggi che hanno reso la previdenza italiana tra le più dure d’Europa quando si parla di soglie di accesso alle Pensioni. Evidente che ci sia la necessità di intervenire, come dimostrano i tanti e ripetuti incontri tra Governo e parti sociali sull’argomento.

Eravamo rimasti a quelli che venivano comunemente detti "lavori sulla fase 2 di riforma", ma probabilmente eventi esterni al capitolo pensionistico in senso stretto porteranno ad uno slittamento di tutto il processo riformatore.

I rimedi per le pensioni

La pensione di vecchiaia in Italia si centra a 66 anni e 7 mesi di età con 20 anni di contributi se uomini, mentre a 65 anni e 7 mesi, con gli stessi versamenti per le donne. Dal 2018, anche le donne dovranno raggiungere la stessa età degli uomini per la pensione di vecchiaia. Per quella che una volta era chiamata pensione di anzianità e che dalla Fornero fu ribattezzata pensione anticipata, ci vogliono 42 anni e 10 mesi di contributi versati (41 e 10 per le donne), senza limiti anagrafici.

Alle due forme di pensione generali negli anni si sono affiancate numerose altre misure come opzione donna e la sua pensione anticipata a 57 anni e 7 mesi per le lavoratrici, oppure la pensione anticipata a 61 anni e 7 mesi per gli usuranti. Poi ci sono state le salvaguardie esodati che hanno mandato in pensione soggetti che ne erano vicini poco prima che la riforma Fornero diventasse Legge.

Tutte misure che hanno il comune denominatore della flessibilità, ma che hanno condizioni penalizzanti (vedi il calcolo contributivo per le lavoratrici in opzione donna) o che si rivolgono ad una molto ristretta platea di beneficiari. Proprio la flessibilità è quello che manca alla previdenza italiana e che sarebbe necessaria per evitare i pesanti vincoli della Legge Fornero.

Quota 41 ed Ape sono le ultime novità uscite nella scorsa Legge di Bilancio, ma sono destinate ad un popolo di disagiati, coprendo invalidi, disoccupati e lavoratori in attività logoranti. Tra l’altro molti le inseriscono in misure assistenziali più che previdenziali. Evidente che adesso bisognava allargare il campo di applicazione di queste misure a più soggetti possibili, oppure dotare il sistema di quelle misure su cui molti spingono come ad esempio la quota 100, il DDL 857 di Damiano e così via.

Problemi e nuove esigenze della politica fanno da tappo

Un altro problema che viene quotidianamente affrontato dagli addetti ai lavori è il nodo aspettativa di vita. Un meccanismo per il quale la Fornero ha previsto l’ennesimo impatto sulla previdenza dal 2019.

Si tratta dello scatto di 5 mesi in più di età necessaria per la pensione di vecchiaia per il quale il Ministero dell’Economia avrebbe dovuto emanare decreto a settembre. Uno scatto che dall’Inps alla Corte dei Conti appare necessario per la sostenibilità del sistema pensionistico. I conti pubblici infatti cono il limite più forte a qualsiasi intervento di riforma delle pensioni. Bruxelles che continua ad imporci la politica dei tagli e della riduzione della spesa pubblica, le casse dello stato che sono scarse di fondi ed il nostro Governo che ha messo come priorità il rilancio occupazionale prima delle pensioni, sono ostacoli difficili da superare. Più che investire e trovare risorse, l’idea è quella di cercare di risparmiare sulla spesa previdenziale e questo rende le idee di riforma difficili da attuare.

Inoltre, come accade sempre, quando ci si avvicina alla Legge di Bilancio accadono eventi che rendono difficile operare. E’ successo lo scorso anno quando il referendum Costituzionale di dicembre portò alle dimissioni di Renzi. Nessuno dimentica che Ape e quota 41 sarebbero dovute essere corrette in Senato tramite gli emendamenti, ma la crisi di Governo portò il testo del pacchetto pensioni ad essere bloccato come fuoriuscito dalla Camera ed approvato in toto. Correttivi che sarebbero dovuti uscire nel corso del 2017 e che sono stati rinviati alla prossima manovra finanziaria. Adesso pare che il Governo, in vista delle nuove elezioni politiche, con l’Esecutivo Gentiloni prossimo alla scadenza, stia decidendo di spostare al 2018 qualsiasi novità sulle pensioni.

Se per il nodo aspettativa di vita lo slittamento potrebbe sembrare una buona notizia (ma far slittare il decreto non significa aver eliminato la pensione a 67 anni), per le altre esigenze previdenziali e per quanti chiedevano di poter andare in pensione prima, si tratta dell’ennesimo stop.