A febbraio gli arretrati e dal mese di marzo gli aumenti, questo in sintesi ciò che dovrebbe accadere, in maniera ottimistica, ai lavoratori statali dopo la firma sul nuovo contratto frutto dell’intesa Aran-sindacati raggiunta poco prima di Natale. Nel dettaglio arretrati tra 370 e 712 euro in base alle fasce stipendiali, per una media di poco superiore a 490 euro per ciascun dipendente. Per gli aumenti di stipendio si resta agli ormai famosi 85 euro lordi, con medie di aumento pro capite compresi tra i 63 e i 117 euro mensili. Tutto risolto quindi?

Niente affatto perché rimane da risolvere un aspetto decisivo per le sorti di questo accordo, che andrebbe allargato a tutti i lavoratori statali. Il nuovo contratto è valido solo i 240mila dipendenti dei ministeri e delle agenzie fiscali, cioè il comparto della Pubblica Amministrazione centrale, quello con organico dipendenti minore. Il governo ha deciso, per quanto riguarda la distribuzione dei tre miliardi o poco meno messi a disposizione per il capitolo rinnovo statali, di dividerli in parti uguali attribuendo a ciascun comparto una percentuale identica al valore degli stanziamenti rispetto all’intero montante salariale, cioè il 3,48 per cento. Gli stipendi tra i vari comparti però non sono identici e soprattutto quelli più bassi hanno dei minimi inferiori, come accade per esempio nel comparto della Scuola.

Accordo nella scuola difficile

Per quanto detto prima appare difficile arrivare ad una soluzione positiva tra sindacati e Aran. Come riporta il sito “tecnicadellascuola.it”, per molti dipendenti del comparto gli aumenti saranno modesti. Il minimo di salario di un dipendente del ministero, per esempio è fissato dalle tabelle in 16.400 euro.

Ai 63 euro di aumenti per le fasce retributive più basse, grazie all’elemento perequativo da 22 euro al mese per 10 mesi, si riesce a portare anche questi lavoratori agli 85 euro medi. Nella scuola le fasce retributive basse presentano cifre inferiori a quelle dei ministeri e pertanto l’elemento perequativo dovrebbe essere almeno il doppio per garantire un equo trattamento anche a questi dipendenti.

A maggior ragione se si considera il 3,48% come base di partenza rispetto al montante salariale.

Cosa succederà adesso?

Adesso siamo a una autentica corsa contro il tempo con arretrati e aumenti che dovrebbero arrivare prima della prossima tornata elettorale di marzo. A febbraio dovrebbero essere distribuiti gli arretrati per un rinnovo a validità triennale con decorrenza 2016. Se gli aumenti arriveranno davvero a marzo, c'è da coprire con arretrati il periodo che va da gennaio 2016 a febbraio 2018. Vengono fissate poi delle finestre precise in cui gli enti dovranno provvedere a pagare mese per mese gli stipendi, cioè dal giorno 20 al 30 di ciascun mese di lavoro. Resta il fatto che le cifre, come dicevamo tra i 370 e i 712 euro, rappresentano un rimborso una tantum, un risarcimento in unica soluzione a soddisfazione piena della grana arretrati.

Evidente che non si tratta di un arretrato che vada a coprire completamente quanto spetterebbe di aumento annuale a ciascun lavoratore. Calcoli alla mano infatti, solo per il 2018 l’aumento spettante annualmente a partire dalla fascia retributiva più bassa dovrebbe assestarsi intorno ai 1270 euro, per salire a 2.000 euro circa per le fasce stipendiali più alte. Altre perdite evidenti anche per il 2016 e 2017, a cui vanno aggiunte le indennità di vacanza contrattuale mai pagate. Tutto ciò non lascia certo tranquilli circa un accordo che ripetiamo, sembra ancora distante dall’essere trovato.