Dici #Rick Wakeman e pensi subito a tastiere e pianoforti, rock e classica. Fino a dove il confine diventa sfumato e tutto si mescola insieme. La musica del leggendario tastierista inglese sarà possibile ascoltarla al Teatro Manzoni di Milano mercoledì 3 maggio.

E sarà una serata speciale perché dopo la morte di Keith Emerson, con cui ha rivaleggiato a lungo per tecnica e virtuosismo, lo scettro di re delle tastiere è ora nelle mani di questo gigante biondo che ama il progressive, ma anche la classica, e ha suonato con gente come David Bowie, Black Sabbath, Al Stewart.

Ma l’esperienza che tutti ricordano di più è quella con gli #Yes, con cui ha firmato pagine indimenticabili del progressive rock: da “Fragile” a “Close to the Edge”, da “Going for the One” fino al live “Yessongs”, un monumento del genere, in cui Wakeman suonò anche in un assolo ormai entrato nella leggenda. Per gli appassionati del genere, la sua esibizione – con tanto di mantello argentato sulle spalle – è ancora oggi uno dei simboli di un intero genere musicale.

Il progetto con Anderson e Rabin

Ed è sempre con una costola degli Yes che Wakeman è tornato a suonare di recente, per la precisione con lo storico cantante Jon Anderson e il chitarrista Trevor Rabin, subentrato a Steve Howe negli anni ’80.

Un progetto che porterà in giro per il mondo la musica degli Yes senza però il marchio di fabbrica, in questo momento usato dai vecchi compagni d'avventura Steve Howe e Alan White.

Ma Wakeman ha pubblicato anche diversi dischi solisti di notevole spessore di cui i più celebrati sono stati “The six wives of Henry VIII” e “Journey through the center of earth”, album fondamentali per chi ama farsi sommergere dal rock più barocco, sinfonico e classicheggiante.

E per un certo periodo ha pubblicato dischi più introspettivi, in qualche modo accumunabili al genere new age.

A Milano Wakeman presenterà “Piano Portraits”, il suo ultimo album, in cui si è divertito a reinterpretare al pianoforte brani di Led Zeppelin, Beatles, David Bowie, Cat Stevens, ma anche Tchaicovsky e Debussy, per ribadire il suo amore per la classica.

E ha dimostrato di poter passare tra i vari generi con classe e buongusto, fino unirli dal filo conduttore comune del pianoforte.

Ed è ormai un classico anche il suo nome. Perché chiamarsi Rick Wakeman significa essersi guadagnato un pezzo di storia della musica, essere entrato nel Pantheon delle tastiere. Per non uscirne più.