Le scrambler, si sa, sono motociclette di uso quotidiano che, quasi per definizione, devono essere sporche o quanto meno avere l’aria di esserlo. Risulta, dunque, arduo imbattersi in un costruttore che percorra la strada inversa. La Suzuki DR650 rappresenta bene il vero spirito scrambler: è alta, robusta e utilitaria. Ma per i ragazzi del Diamond Atelier – con base a Monaco – era solo una Moto che necessitava di essere urbanizzata,non proprio una KTM Icon, ma qualcosa di simile.

Questo modello del 1992 era la moto adoperata ogni giorno da uno dei co-fondatori del Diamond Atelier, Tom Konecny.

“La Suzuki DR650 è totalmente all’opposto rispetto a qualunque BMW”, spiega Tom. “È una prigione con svariate parti in plastica e poco carattere, ma ha un gran potenziale nel motore. Così abbiamo deciso di trasformarla in una moto del Diamond Atelier, con la nostra firma in stile urbano. L’obiettivo era quello di costruire una racer super-agile che scorresse alla perfezione attraverso il traffico cittadino”.

Com’è fatta

La postura smilza della DR650 era fin troppo lontana da quello che i ragazzi avevano in mente, così il lavoro è iniziato con una “demolizione”. Un set di sanguigni cerchi da corsa da 17 pollici è stato montato sul mozzo, per aiutare a indirizzare la futura linea della moto. Poi si è intervenuti sulle sospensioni.

È stato costruito un nuovo set di forcelle più corte di quelle stock da 41 mm, mentre il posteriore è stato equipaggiato con l’ammortizzatore di una moderna sportbike. La scelta riguardante le gomme performance è ricaduta sulle Metzeler Racetec RR.

Con la moto abbozzata, era chiaro che il telaio necessitasse di qualcosa di più che un semplice taglio.

Il lavoro è stato articolato e ha portato alla forma finale, ossia quella di una vecchia scrambler. Anche la sottoscocca è stata rifatta tutta da capo, con un agile assottigliamento che finisce con una discreta luce LED al codone.

Il corpo del lavoro è un misto di piccoli dettagli di seconda mano o realizzati ad hoc. Il serbatoio proviene da un Honda degli anni '70, modificato leggermente per essere montato, mentre il faro anteriore e il segmento della coda sono di nuova fattura, ricavati da un foglio di metallo da 1 mm.

La sella in pelle è minimalista.

Dettagli d’altri tempi

Nulla a che fare con la BMW HPnineT, ma a dispetto del suo stile, un misto tra passato e futuro, la Street Smarts non è provvista di batteria. In questa maniera si è risparmiato sul peso e si è lasciato tutto l’onere dell’accensione al pedalino. Il cablaggio è stato nascosto ad arte. Tutto passa attraverso l’unità di controllo Kellermann R3, discretamente nascosta sotto il serbatoio.

Nonostante sia una moto “home made”, al Diamond Atelier hanno affidato molti dettagli tecnici – vedi leve e controlli vari - alla ABM. All'interno della Street Smarts si trova di tutto: parti di Suzuki, come il cilindro maestro, e dettagli della YZF-R1. Le frecce sono della Motogadget.

Tirando le somme

Il motore è stato ricostruito quasi da capo. I filtri sono della K&N.Il quadro complessivo è davvero ben riuscito e trasmette tutto quello che si erano prefissi alla Diamond. Il blu sgargiante si sposa perfettamente con i colori forti del serbatoio. Forse si sarebbero potute evitare alcune forme disegnate sul serbatoio stesso, motivo ripreso anche sul frontale. Probabilmente, però, è proprio questo aspetto che la rende diversa dalla solita scrambler. Tutto è essenziale. Le ruote la fanno da padrone sulla linea complessiva. Lo scarico si attaglia alla linea laterale e si rialza bruscamente per non sporcare lo spazio vuoto tra la ruota posteriore e il resto della moto, enfatizzando ancor di più la possanza delle ruote.