Dalla indiscrezioni alla notizia: la Ducati è in vendita. Venerdì scorso è stata confermata la notizia della vendita di Ducati. L'agenzia di stampa Reuters ha diramato una breve nota che ufficializza la banca d'affari Goldman Sachs come advisor di Harley Davidson nell'offerta d'acquisto dell'azienda di Borgo Panigale (BO). E un affare stimato in circa 1,5 miliardi di Euro, pari a 15 volte il MOL (Margine Operativo Lordo). Una quotazione generosa, comune ai beni di lusso, che supera di 300 milioni il valore del 2012 determinato dai tre azionisti di Ducati, rispettivamente Investindustrial (70%), BS Equity (20%) and Hospital of Ontario Pension Plan (10%), anche se alla fine si accontentarono di 860 milioni di Euro.

La cura tedesca ha creato costantemente valore: nel 2016 l'azienda bolognese ha consegnato 55.451 moto con un incremento di 1,2% rispetto al 2015. Anche il fatturato è aumentato, +4,1% mentre il risultato operativo, pari a 51 milioni di Euro, è stato negativo di 3 milioni rispetto all'anno precedente, ma dopo 4 anni di crescita.

Per gli appassionati, ancora più significativo è stato il ritorno alla vittoria in MotoGP con Andrea Iannone, che vincendo il GP d'Austria ha messo fine a una serie negativa di 7 anni, mentre quest'anno Dovizioso, grazie a 2 successi consecutivi, è uno dei più seri contendenti alla vittoria del titolo 2017.

E' opinione comune che la Ducati sia considerata la "Ferrari della Moto" e, in effetti, le similitudini non mancano in tema di filosofia produttiva, territorio e tifoserie.

Quello che differisce enormemente sono i ricavi e i margini tra i due settori.

Perché Ducati è in vendita

L'impatto dello scandalo diesel-gate è certamente la ragione principale. Nel quartier generale di Wolfgang hanno già messo a riserva 18 miliardi per coprire i danni dello scandalo, sebbene gli esperti ritengano che si arriverà vicini ai 23 miliardi.

La cura di Volkswagen, che nel frattempo ha rimpiazzato il CEO Martin Winterkorn con Matthias Muller, ex amministratore delegato di Porsche, prevede il taglio di 30.000 posti di lavoro entro il 2020 ricorrendo a prepensionamenti e altri ammortizzatori sociali da negoziare nei paesi produttori di veicoli del Gruppo Volkswagen.

Parallelamente le quote di mercato verranno protette investendo in nuove tecnologie, soprattutto nell'elettrico e nella guida assistita.

La seconda ragione è culturale. Con il pensionamento del carismatico ingegnere Ferdinand Piëch, nipote di Ferdinand Porsche e creatore del marchio Audi, si è chiusa un'epoca votata alla megalomania ed onnipotenza che ha portato Volkswagen ad essere il primo gruppo automobilistico del mondo, superando anche Toyota.

Una corsa al primato, non solo in termini di volumi ma soprattutto nella costruzione di una immagine votata alla supremazia tecnologica. Sotto la guida di Piëch, VW ha acquistato Bentley, Bugatti, e Lamborghini per dominare nel segmento delle dream cars.

Poi lo shopping compulsivo si è spostato sui camion, con il controllo di Scania e MAN per contrastare la leadership di Mercedes nel trasporto pesante. L'unica partita rimasta erano le moto di BMW, e da Piëch è arrivato l'ordine di contrastare il nemico bavarese acquistando la rossa bolognese.

Terzo e ultimo motivo è la scarsa remunerabilità del settore moto. Matthias Muller, a differenza di Piëch, è un manager votato al realismo. Egli è perfettamente consapevole che vendere un asset non strategico con margine di profitto è una strategia vincente e che nessuno, nel board di comando, si opporrà a questa soluzione. In altre parole, vendere una fabbrica di moto per un'azienda che produce auto pare una cosa di buon senso, oltre che economicamente vantaggiosa.

Al contrario di quanto avviene nel settore auto, nelle moto non esiste un segmento di lusso capace di generare profitti da 30-50 mila euro per ogni moto venduta, come avviene per Bentley, Lamborghini e anche le high-end di Audi. Per poter generare cassa bisogna fare grandi numeri, possibili solo sui mercati emergenti, come sta facendo KTM in partnership con Bajaj nel sud est asiatico. Ma ci vogliono, soldi, tempo e alleanza, tre elementi al momento indisponibili a Wolfgang.

Bajaj contro Harley-Davidson

Se la scelta tra i due contendenti dovesse essere giudicata dalla capacità di creare valore, Bajaj potrebbe spuntarla facilmente. Si tratta del secondo gruppo indiano del settore, ha costruito la sua fama sulla produzione di Vespa e Ape come licenziatari di Piaggio invadendo il mercato interno e non solo.

In tempi recenti ha acquisito il 48% di KTM facendo volare il costruttore tedesco al primo posto tra le azienda europee del settore con 203.424 moto consegnato nel 2016, per buona parte prodotte negli stabilimenti Bajaj. Lo stesso potrebbe accadere presto con la Scrambler, che è già prodotta in Thailandia.

La soluzione Harley-Davidson è certamente quella più consona all'immagine premium di Ducati, ma la sua storia in termini di fusioni ed acquisizione non è particolarmente brillante. L'Harley Davidson è stata la prima azienda straniera del settore automotive, ancora prima della Ford - che acquistò carrozzieri Ghia e Vignale - a investire in Italia. Nel 1960 acquistò la divisione moto della Aermacchi, con sede a Varese.

La produzione andò avanti senza particolari picchi spegnendosi progressivamente con la crisi del settore fino al 1978, quando venne rilevata dalla famiglia Castiglioni. Successivamente la voglia di diversificare il business ed entrare nel settore delle moto sportive, la spinse a sostenere l'impresa di Eric Buell, con ottimi risultati in termini d'immagine e accettabili perdite d'esercizio.

Probabilmente l'impulso dato dalla passione di Eric Buell spinse i manager di Milwaukee a scommettere ancor più seriamente sulle moto sportive, portandoli nuovamente a Varese nel 2007 per acquisire la MV Agusta, tornata sul mercato dopo l'esperienza sotto la guida dei Malesi di Proton. Purtroppo gli americani fanno appena in tempo a saldare i debiti e a far partire il nuovo progetto della piattaforma a 3 cilindri che esplode la più disastrosa crisi finanziaria della storia moderna, culminata con il fallimento della banca Lehman Brother e l'inizio del credit crunch.

Un disastro, soprattutto per un mercato voluttuario come quello della motocicletta, dove la stragrande maggioranza degli acquisti viene conclusa ricorrendo al credito al consumo. Per questo motivo HD, nel settembre del 2009 comunicò agli azionisti la decisione di chiudere Buell e di vendere MV Agusta. Ovviamente oggi lo scenario è diverso e sopratutto la Ducati è un'azienda sana che fa profitti e possiede una gamma di prodotti assolutamente complementare con le iconiche cruiser made in Wisconsin. Rimane comunque arduo immaginare un investitore strategico al livello di VW.

Basti solo dire che VW, attraverso il ramo d'azienda Audi ha investito 160 milioni in 5 anni nel solo stabilimento bolognese, assumendo oltre 100 dipendenti a tempo indeterminato e con premi di produzione fino a 2600 euro annui.

Ha instaurato un modello produttivo e di relazioni sindacali unico nel settore. Ha migliorato i prodotti, aumentato i volumi, completato la gamma, vinto in MotoGP. Speriamo che a Wolfgang ci ripensino...