La politica estera degli Stati Uniti appare sempre più confusa. L'immagine che Obama continua a delineare è quella di un paese ancora in grado di mantenere la propria supremazia mondiale pur in un'apparente mancanza di strategie di medio e lungo periodo. La crisi mediorientale è tornata, in queste ultime ore, al centro dell'attenzione internazionale per la possibile ripresa dell'Intifada tra israeliani e palestinesi con inevitabili conseguenze negative in termini di vittime civili ma anche dal punto di vista geopolitico. L'avvio di un eventuale nuovo conflitto si collocherebbe in un contesto regionale caratterizzato da uno scenario più preoccupante rispetto al passato soprattutto per la lotta contro l'Isis che sta interessando in particolare i territori iracheno e siriano.

L'ambiguità, espressa anche pubblicamente, di Washington è a dir poco sconcertante in quanto da una parte ha escluso (almeno ufficialmente) un'alleanza col regime di Damasco pur di fatto (come ha ammesso pubblicamente oggi il capo del Pentagono Heghel) aiutandolo nella lotta contro il nemico comune. Il Capo di Stato Maggiore Usa Martin Demsey ha riferito che i siti per addestrare l'opposizione moderata siriana sono stati scelti ma nessun combattente ha iniziato l'addestramento (nonostante l'impegno, in tale senso, comunicato da Obama nel suo discorso all'ultima riunione dell'Assemblea Generale dell'Onu). Lo Stato Islamico ha ricevuto in passato molti aiuti economici dalla Casa Bianca ma ora è diventato il suo nemico numero uno prendendo il posto di Assad che è quasi divenuto, sotto banco, un loro alleato indispensabile.

La situazione complessiva rischia di intrecciarsi con le aspirazioni iraniane di dominio della zona mediante una supremazia economica e militare pure tramite l'energia nucleare il cui sviluppo, secondo Israele e i suoi alleati occidentali, dovrebbe essere impedito in quanto non sarebbe finalizzato per scopi pacifici e pertanto rappresenterebbe una gravissima minaccia mondiale.

Il continente asiatico è costellato da tensioni, diventate ultimamente latenti, nella penisola coreana, tra la Cina e il Giappone a causa della contesa dell'arcipelago delle Isole Senaku che è ricco di giacimenti di gas insieme a una conseguente presenza sempre più numerosa di soldati americani in difesa dei paesi alleati e per contenere l'espansionismo di Pechino nella zona nella speranza di indebolire il suo asse con Mosca.

L'Europa è caratterizzata dalla paura derivante soprattutto dalla crisi ucraina; mentre oggi Kiev ha raggiunto un accordo con Mosca sulla questione del gas nei giorni scorsi i caccia della Nato hanno intercettato 26 jet del Cremlino mentre sorvolavano diversi paesi, ma non l'Italia, del Vecchio Continente. La speranza che tali azioni non rappresentino il preludio ad una escalation militare che potrebbe portare allo scoppio di una terza guerra mondiale si accompagnano alla certezza che si trattino di modi con cui Putin esprime il proprio disappunto per la futura dislocazione dello scudo anti missile in Turchia, Germania e Spagna in quanto minaccerebbe la sicurezza nazionale del suo paese la quale sarebbe anche a rischio per la continua ed inesorabile espansione dell'Alleanza Atlantica verso gli Stati che un tempo erano membri del Patto di Varsavia.