«L’Isis ha dichiarato guerra all’Occidente ed è stato purtroppo consequenziale, l’Occidente ha accettato la sfida però non ha mai fatto la guerra al Califfato».

La conversazione con Gianandrea Gaiani, direttore analisidifesa.it, apprezzato esperto di strategie militari e di geopolitica, si apre con un paradosso: ci sono volute le stragi di Parigi per svegliare dal torpore i Paesi che si rifanno all’Alleanza atlantica.

«I fatti sono noti. La coalizione a guida statunitense si è formata nell’estate del 2014 con l’impegno di combattere l’Isis. Solo che – argomenta Gaiani - la coalizione medesima è formata da stati che hanno interessi spesso divergenti.

Se poi analizziamo il gioco delle strategie, emergono ragioni di Stato addirittura opposte. C’è chi, come gli Usa, vorrebbe abbattere il regime di Assad, ma Assad serve per combattere l’Isis ed è protetto dalla Russia, oggi alleato essenziale, ma pur sempre il “nemico ufficiale” della Nato. La Turchia è membro Nato, ma nel frattempo abbatte un aereo russo, non intende sostenere i combattenti curdi, altri alleati preziosi, e teme la vittoria degli sciiti. Ma quelli da rovesciare sono i sunniti, il nerbo del Califfato. Da parte sua, la Francia deve rivedere l’ostracismo nei confronti del regime di Assad, sciita, rischiando di irritare le monarchie del Golfo con le quali conclude affari miliardari.

Un bel rompicapo. E gli Stati Uniti?

«Sono contro Assad, ma come sempre perseguono il caos. Dal punto di vista energetico sono autosufficienti e quindi traggono giovamento dalle difficoltà di approvvigionamento di Europa, Cina, Giappone, India che dipendono dall’area interessata al conflitto».

E’ auspicabile un intervento armato di tipo convenzionale in Siria?

«Sì perché l’Isis rischia di vincerla, questa guerra. Il suo potere di attrazione verso tutti gli integralisti è sempre più irresistibile. D’altronde il califfato rappresenta un salto di qualità rispetto ad Al Qaeda. Ha una struttura statuale, controlla territori, amministra province e regioni, riscuote tasse, vende petrolio.

Basterebbe un intervento di terracon alcune forze speciali degli eserciti occidentali e l’avanzamento a tenaglia di curdi, siriani e iracheni per rovesciare il califfato. Bisogna fare in fretta perché la minaccia è ormai anche all’interno dei nostri confini nazionali. Lo dimostra il fatto che tutti gli istruttori mandati sui teatri di guerra oggi non possono più rivelare la propria identità per evitare che, se scoperti, le loro famiglie subiscano rappresaglie da parte di jihaidsti presenti in Italia».

Tutto questo marasma celebra il misero fallimento dell’Unione europea.

«Infatti, la classe dirigente del Vecchio continente è qualcosa di indecente. Nel nome del multiculturalismo hanno permesso che le nostre città venissero invase da persone della peggior risma.

In molte moschee oggi si predica la Jihad ai bambini, mentre 108 centri culturaliin Italia sono in mano agli integralisti. Di tutti i clandestini arrivati in Italia ben 100mila si sono rifiutati di declinare le proprie generalità e noi li abbiamo fatti passare. Alla fine ci dicono che dobbiamo rinunciare alle nostre libertà? Cominciassero per davvero a ripulire l’Europa altrimenti ci faranno diventare tutti intolleranti o, peggio, razzisti».

E’ davvero ipotizzabile l’integrazione degli immigrati nelle nostre realtà?

«C’è un equivoco di fondo. Io e l’islamico più tollerante siamo lontani anni luce perché non condividiamo gli stessi valori. L’Islam concepisce regole di convivenza che sono incompatibili non solo con quelle occidentali, ma con la Dichiarazione dei diritti universali dell’uomo».

Chi rischi corre l’Italia?

«Secondo me, e spero di avere ragione, il nostro Paese è meno esposto degli altri. All’Isis non conviene colpire Roma: i cristiani sono ultimamente tolleranti, non ricordo infatti fiaccolate per degli eccidi di cattolici in qualche parte del mondo. Ma se il califfato decidesse di colpire il Papa, scatenerebbe su di sé una reazione violentissima».