Era nato in Sicilia. Aveva vissuto in Sicilia. Conosceva la Sicilia. I suoi polmoni erano impregnati della meravigliosa aria di Sicilia. Quando il fetore dellamafiaera riuscito a rovinarla, aveva cercato di tutto per disinfestarla e farla tornare di nuovo pulita, ma la sua battaglia non era stata da ambientalista, ma da uomo di Stato, da uomo tutto d'unpezzo, daUomo dellaLegge.

Ecco si, unUomo nella sua piena interezza e nel suo rispetto delle regole di una società che di civile ormai aveva davvero ben poco. La sua amata Sicilia era da troppo tempo preda di criminali assassini senza nessuno scrupolo che non si ponevano neanche il problema di sciogliere nell'acido i bambini di altri rivali, una società che aveva smarrito l'umanità, la purezza ed il senso vero dell'onore che nessuno come i siciliani sa come riconoscere ed apprezzare.

Aveva un amico, un collega di lavoro, un fratello, soprattutto aveva un gemello nel modo d'intendere il senso dello stato e della legge, Giovanni Falcone, appassionato come lui della sua terra, della sua gente e della bellezza che tanto si era smarrita in quei decenni dove mafia e Stato erano diventati un tutt'uno. Quel tutt'uno aveva deciso per una sua presa di posizione molto chiara: eliminare fisicamente e senza nessuno scrupolo chiunque si frapponesse tra loro ed i loro affari miliardari lucrativi alle spalle dei siciliani onesti.

Quali obiettivi migliori potevano essere scelti se non i magistrati a capo del pool antimafia che stavano demolendo uno ad uno i pilastri del loro losco mondo?

Una pura coincidenza, forse influenzata dal fatto dei rapporti che stava instaurando a Roma, ha voluto che il primo fosse Falcone assieme alla sua scorta ad essere fatti saltare in aria in quel di Capaci.

È esattamente quello il giorno in cui è partito il timer per Paolo Borsellino. Lui non sapeva quando, ma sapeva benissimo che sarebbe successo.

Aveva fretta, una fretta matta di lavorare, scrivere, trarre conclusioni, sistemare materiali decisivi per i processi a venire. Non sapeva quando, ma guardava l'orologio. Non sapeva quando, ma cercava di fare anche il marito ed il padre in una situazione completamente irreale, dove lui cercava solo quando si sarebbe presentato l'imbuto che avrebbe inghiottito pure lui, che some Falcone, era troppo amante della verità della giustizia, della sua Sicilia.

57 giorni d'inferno, sapere di essere stato condannato a morte e sapere che nessuna scorta sarebbe bastata a salvarti, sapere che l'omertà uccide più della lebbra. Dignità ed onestà, un'eredità pesante per gente che ha come problemi fondamentali oggi cosa far apparire nei suoi vari profili social, spesso presentando una vita finta, parallela, irreale.

Oggi sarebbe stato davvero curioso leggere il diario dei social di Paolo Borsellino in quei 57 giorni. Ci sorpenderebbe non poco il fatto che lui la maggior parte del tempo sarebbe stato offline, ed i suoi unici "squilli" sarebbero stati magari una foto di famiglia destinata presto ad essere incorniciata come unico ricordo dell'uomo Borsellino, e magari saremmo ancora più sorpresi che il suo ultimo post fosse: "Un abbraccio alla mamma. Ti voglio bene!"