Bettino Craxi, Presidente del Consiglio nel 1986, affrontò la crisi di Sigonella, e ne uscì fuori una certa idea di Italia. Un'idea di nazione e comunità, con una tensione alla non accettazione di ingerenze indebite da parte di Paesi stranieri, seppur storici alleati, come gli USA. Oggi, a trent'anni da Sigonella, c'è chi parla di "bugia" e "grande bufala". Nuovi documenti sarebbero usciti fuori e la misura di eroe della sovranità nazionale finora attribuita a Craxi sarebbe pressoché usurpata. Niente di nuovo sotto il sole: i revisionismi a getto continuo, soprattutto quando c'è Craxi di mezzo, sono ormai diventati un genere letterario, una vera e propria scuola.

Il Fatto Quotidianoanche stavolta non ha mancato di far sentire la sua voce, ma tant'è, non è questo il cuore della questione. Il punto è davvero un altro.

Dove siamo arrivati oggi?

Il punto è un punto di domanda: dove siamo arrivati, oggi? Cos'è l'Italia, oggi? Craxi, nel 1986, mostrava perlomeno il coraggio di opporsi all'ingerenza americana nell'affaire Sigonella, e oggi? Matteo Renzi va al party organizzato da Obama, alla Casa Bianca e non perché avesse molto di più da esibire chel'idea provocatrice della 'rottamazione senza incentivi' dei dirigenti storici del PDma perché lo schema di fondo messo in piedi da una Casa Bianca sempre più delegittimata e un premier nominato e oggi senza consenso nel nostro Paese era proprio quello di far ingerire gli USA nelle faccende di casa nostra.

Tradotto in termini più chiari: l'opposto di Sigonella

Se Renzi ha bisogno di Obama e quest'ultimo ha bisogno di Renzi, per differenti ragioni, ma condividendo una cultura della leadership, secondo la quale i "nuovi leader nel mondo" crescono per ignorare i movimenti della società che li contrastano, allora siamo alla post-politica.

Se Obama si permette, come aveva già fatto l'ambasciarore USA in Italia, di fare campagna elettorale non richiesta per il sì al referendum voluto da Renzi, allora davvero aridatece Craxi, come si dice a Roma. Se ingerenze di questa portata passano nell'opinione pubblica come se nulla fosse, con larga parte dei giornali che contano in questo Paese a fare da scendiletto, allora la politica, come costruzione del consenso attraverso la mediazione degli interessi e dei bisogni di una comunità nazionale è davvero un vecchio arnese del passato.

È l'era della post-politica.

Craxi, totus politicus

Craxi, al contrario era totus politicus. Era fatto interamente di politica e non è un caso che oggi, anche i nemici di ieri provenienti dalla sinistra, lo rivalutano, dando corpo all'ipotesi, del tutto fondata, che dopo di lui, piaccia o meno, la politica sia scomparsa dalla nostra vista e, al suo posto, ci sia spazio soltanto per il teatrino della post-politica.

Non sono soltanto politici di lungo corso a porsi il problema. Anche un magistrato di lungo corso come Ingroia avanza interrogativi della stessa natura, riflettendo sul referendum costituzionale di Renzi, definito comel'appendice e la conclusione di un progetto che parte da molto lontano e Licio Gelli ne è stato uno degli artefici in Italia dagli anni '80 con il Piano di Propaganda Democratica. Non si tratta dunque di nostalgia di qualche orfano di Craxi, ma di un'idea di Italia questa sì realmente rottamata e senza incentivi di sorta.