Sono passati mesi da quando gli inglesi sono stati chiamati al voto, ma negli ultimi tempi si è presentata una notevole incertezza: l’articolo 50 del trattato di Lisbona non è ancora stato invocato e le istituzioni comunitarie premono per un accordo entro il 2018. “L’incertezza” pesa sulla bussola economica europea e fa perdere credibilità da entrambe le parti. Inoltre, la corte suprema britannica, non ha ancora deciso se dovesse essere necessario il voto parlamentare per avviare formalmente la Brexit.

Considerando che quasi tutta la totalità della popolazione di Scozia, Irlanda del Nord, Londra e Gibilterra ha espresso un voto favorevole per il "remain".

Il "leave" sarà costoso e colmo d'incognite

Vi sono già banche pronte a lasciare il paese nei primi mesi del 2017. E Londra non potrà optare per una “Soft Brexit” perché Oslo non vuole il Regno unito come “leader” dello spazio economico europeo, e se venisse preso in considerazione il SEE, vi sarebbero costi e standard da rispettare in toto, un’idea incoerente data l’aria euroscettica. Oltretutto le istituzioni comunitarie hanno espresso la volontà di dare "un taglio" alla lingua inglese, al momento dell'uscita, infatti, ogni stato membro ha la sua lingua ufficiale, per esempio per Malta è il maltese.

Come potrà il Regno Unito gestire questo uragano? Un collasso del PIL (fino a 60 miliardi) e l’addio di Scozia, Irlanda del Nord e Gibilterra potrà essere compensato da quell'indipendenza tanto osannata?

La questione scozzese

Gli scozzesi hanno votato in massa per restare dentro l'Unione Europea e da qualche momento il ministro Nicola Sturgeon sta lavorando per mantenere gli interessi della regione. Dai colloqui con Bruxelles, a posizioni più dure, come i preparativi per un secondo referendum sull'indipendenza della Scozia. Ma tutto potrà essere effettivo solo quando il governo inglese avrà pronto un piano.

Ad ogni modo la “voce” Scozzese resta la più forte nell'ambito della Brexit.

La questione Irlandese

Questa regione sta “lavorando” per la riunificazione con il resto dell’isola. Cosa possibile, dato che un'uscita determinerebbe un confine marcato tra le due nazioni e il ritorno di alcune vecchie tensioni tutt'altro che pacifiche.

La peculiare situazioni di Gibilterra

Anche questo possedimento britannico si è espresso favorevole al “remain” perché la Brexit porterebbe all'isolamento per i gibilterrini. La chiusura delle frontiere, la creazione di una dogana, la perdita dei fondi europei e difficoltà immani per i 30 mila frontalieri. Pertanto la Spagna ha espresso la volontà di una co-sovranità con il Regno unito al fine lasciare inalterati gli equilibri creati.

La questione Londinese

E' stata lanciata una petizione su change.org, per concedere alla capitale poteri “speciali” al fine di trasformarla in una sorta di città-stato e poter restare all'interno dell'UE. Infatti la capitale è la più importante città a livello economico del continente e muove da sola il 14% del PIL dell’intero Regno Unito.

Anche in questo caso l’impasse sarà sciolto solo quando il governo avrà un piano sicuro e avrà pianificato la prossima mossa. Tuttavia i sostenitori sono già 179.838, ne mancano soltanto 20.162 per raggiungere l'obbiettivo.

Pare proprio che la Brexit sia stato un grande sbaglio.