La votazione online che doveva sancire l'entrata del M5S nel gruppo europarlamentare dell'Alde è naufragata per il "No" del suo capogruppo Guy Verhofstad. La decisione ha sicuramente lasciato stupiti molti attivisti della base pentastellata, sopratutto per la modalità repentina e senza preavviso utilizzata dal politico belga nel rispondere alla richiesta di Beppe Grillo di unire le forze. Adesso la situazione si fa critica per gli europarlamentari Cinquestelle a Bruxelles, che rischiano di veder ridimensionato il loro peso politico all'interno del Parlamento Europeo.

Una battaglia all'interno del M5S?

Il "No" a sorpresa dei Liberali rischia di acuire la battaglia ideologica in corso all'interno della (forse) prima forza politica del paese. Uno scontro sistematico cominciato a luglio dopo l'elezione del sindaco di Roma, Virginia Raggi. La scelta repentina di Grillo di abbandonare l'Ukip e Farage rientrava nell'idea di rimettere ordine nella battaglia a colpi di sciabola tra quelle che si potrebbero definire le due fazioni principali che stanno emergendo all'interno del MoVimento, definibili "Massimalista" e "Riformista", per usare termini cari alla politologia di inizio Novecento.

Da un lato, i 'Massimalisti' di Di Battista

Il successo del MoVimento, che non va ricercato solamente nella crisi del sistema partitico, né tanto meno nella congiuntura economica di crisi in cui sono coinvolte tutte le economie occidentali, può essere messo davvero in pericolo dal colpo che viene dal cuore dell'Unione Europea.

Un colpo che può accelerare una resa dei conti interna. Da un lato ci sono i Massimalisti, il cui principale esponente è Alessandro Di Battista, favorevole all'entrata nel gruppo misto del'Europarlamento. Riluttante alla carriera istituzionale, in passato ha detto di voler lasciare la politica alla fine del suo mandato iniziato nel 2013; sta di fatto che, da quanto si vocifera, ormai si sarebbe convinto a voler guidare il M5S verso la vittoria finale.

La linea politica che simboleggia Di Battista è semplice: è quella del Vaffa Day di Bologna, del "nessun patto con il nemico" e della totale fede nella vittoria tramite la sola forza delle proprie idee. Per l'appunto, più un atto di fede che un reale piano strategico.

Dall'altro, i Riformisti di Di Maio

Contro i Massimalisti alla Di Battista c'è, probabilmente, il fronte definibile dei Riformisti: l'esponente più cristallino di questa linea di pensiero sembrerebbe essere Luigi Di Maio.

Più giovane di Di Battista, aveva definito come "scelta tecnica", la possibile alleanza con l'Alde, ora naufragata, come d'altronde era sempre di convenienza la stessa alleanza con Farage anni fa. Moderato nell'azione politica e nell'immagine mediatica che si è dato in questi anni, Di Maio è il volto rassicurante per le masse spaventate dal pericolo populista, lo stratega che forse, indirettamente, avalla scelte politiche e amministrative azzardate, come la scelta di dirigenti discussi avvenuta a Roma. Di Maio e i Riformisti vogliono governare e hanno ben in mente il modo con cui farlo: in un modo che per i pentastellati duri e puri può sembrare per l'appunto spregiudicato, in quanto prevede anche l'appoggiarsi esternamente a personalità più preparate anche se vicine ai vecchi apparati di partito.

Ma, sopratutto, i Riformisti vogliono fare carriera.

Vicina la resa dei conti nel M5S?

Questo fronte è sicuramente composto da gente più preparata, politicamente e culturalmente, rispetto ai Massimalisti Cinquestelle. I Riformisti vivono con fastidio la regola dei due mandati imposta da Grillo nell'atto costitutivo del M5S. Il motivo è semplice: perché accumulare esperienza e capacità politiche con anni di lotte e battaglie sul campo per poi vedersi accantonare da gente magari impreparata ad affrontare il compito di governare questo paese? Ora dopo questo inaspettato "No", il rischio che tutti i nodi all'interno del M5S vengano al pettine è più reale che mai. Molto più di quanto il caso Marra potesse mai fare.