Periodo di dimissioni questo, per Matteo Renzi. Dimessosi da Presidente del Consiglio il 4 dicembre, dopo la sconfitta al referendum, ieri ha rassegnato le dimissioni da segretario del Partito Democratico, durante l'assemblea nazionale. Tema del giorno: evitare la scissione, scoprendo il bluff della minoranza.

L'avversario si batte, non si elimina

I giorni precedenti all'assemblea sono stati frenetici, molto nervosi, a tratti isterici. La minoranza che, nelle persone di Emiliano, Rossi e Speranza si è riunita al Teatro Vittoria, ha minacciato la tanto famigerata scissione, ma ha anche elencato le condizioni necessarie per evitarla.

Emiliano esordisce chiedendo perdono per essere stato un protosostenitore di Renzi. Legittimo. Ciò che la minoranza chiede è un'assemblea programmatica che duri cinque o sei mesi, per dare a tutti i candidati il tempo e il modo di presentarsi agli iscritti, per poi affrontare il congresso. Il tutto anticipato dalle dimissioni del segretario Renzi e dalla garanzia che questi non si ricandidi. Altrimenti sarà scissione. La minoranza vorrebbe battere Renzi senza passare attraverso l'iter competitivo del congresso o di eventuali primarie. Renzi, durante l'assemblea, ha proprio criticato questa visione antidemocratica della minoranza dem. L'avversario si batte sui contenuti, sulle idee, sui programmi.

Non lo si può eliminare aprioristicamente dalla competizione, mettendo in atto un ricatto ingeneroso e strumentale. "Avete il diritto di sconfiggerci. Non avete il diritto di eliminarci." Così, ieri, Matteo Renzi.

Idee e programmi fanno la differenza

Il segretario dimissionario ha fatto capire che non ci sarà spazio per attacchi ad personam.

Ha sollecitato a restare nel Partito Democratico perchè si è uniti per qualcosa, non contro qualcuno. Questa è il cambio di passo. Un PD che, sin dalla sua nascita, è vissuto solo di opposizione ai governi Berlusconi, oggi deve far leva su un'idea di Italia, di futuro e di programma. La vecchia guardia del partito (con le dovute eccezioni) non si ritrova nelle idee di una sinistra che, per vincere, deve farsi moderna, riformista e progressista.

Ieri Renzi ha parlato delle sfide che ci sono, dal "fine-vita" alla giustizia, passando per la scuola. Ha ammesso gli errori, ma si è detto disponibile ad ogni confronto.

Uno degli interventi qualitativamente migliori è arrivato dal primo segretario del PD, Walter Veltroni, che ha sostenuto la necessità di unità del partito come compito della sinistra, a fronte del populismo e dell'antipolitica. Il PD non ha il diritto di essere minoranza, dice Veltroni, perchè vorrebbe dire lasciare indietro la gente povera, che oggi fatica.

Renzi sa di aver già vinto

Orfini apre la fase congressuale. Renzi vuole le primarie tra il 9 aprile e il 7 maggio, in vista delle amministrative dell'11 giugno. Rapidità è la parola d'ordine per non dar tempo agli avversari.

La Stampa riporta una conversazione tra Renzi e Minniti, in cui l'attuale Ministro degli Interni si complimenta con il segretario: "Uno come me-dice Minniti- con la mia storia, avrebbe fatto un caminetto con i big per una tregua. Tu hai tenuto il punto e hai visto il bluff. Sei stato bravo, Matteo."

L'ex premier è convinto che nessuno seguirà la minoranza nella scissione, proprio perchè il bluff è stato scoperto. Quella che molte testate definiscono la "cosa rossa", ovvero il frutto di una eventuale scissione, non vedrebbe più del 4% di preferenze alle elezioni.

Gli iscritti stanno con Renzi, e Renzi lo sa. Il tutto con un Parlamento che di tutto discute, meno che della legge elettorale, e con le elezioni politiche quasi alle porte.

Per la prima volta, Renzi non è stato sostenuto solo dal giglio magico, ma dai big: Fassino, Gentiloni, Minniti, Veltroni. Il fuoriuscitismo della minoranza potrebbe compattare il PD e renderlo un partito forte e unito nelle e dalle idee, con la convinzione che gli uomini passano, l'idea di PD resta.